La mafia silente di Busto Arsizio
L'uccisione di un giovane nei boschi di Pombia, il carabiniere che lavorava per i gelesi, le grandi operazioni investigative che passano sempre da Busto. La mafia in città è un fiume carsico
Dietro l’inchiesta che ha coinvolto i tre carabinieri della Compagnia di Busto Arsizio infedeli c’è un’ombra inquietante che porta al potere mai venuto meno del clan mafioso dei Rinzivillo-Emanuello e ai suoi uomini in terra bustocca. Da tempo a Busto Arsizio si è stabilita una comunità di gelesi che conta quasi 30 mila persone, tra questi ce n’è una parte, piccola ma potente, che è legata alla cosca siciliana con diverse ramificazioni a Roma e in Germania.
Negli anni diverse inchieste si sono occupati di loro: da “Tagli Pregiati”, ad inizio anni 2000, all’inchiesta “Fire Off” che fece scoprire il corpo di Salvatore D’Aleo, ucciso dalla mafia gelese, e a stretto giro di posta l’inchiesta “Tetragona” su tutto il clan dei Rinzivillo.
L’ultima grande operazione che ha toccato anche esponenti mafiosi dei Rinzivillo a Busto Arsizio è quella che ha scoperchiato gli affari romani del clan e che ha portato in carcere Aldo Pione, già condannato per Tetragona, ma considerato ancora il referente del clan a Busto. Negli ultimi anni, però, la mafia ha preso la forma di un fiume carsico, striscia sotto terra e ogni tanto appare in superficie.
Uno dei tre uomini dell’Arma indagati, deceduto a novembre del 2017, si è scoperto che intratteneva rapporti con numerosi affiliati al clan e tra questi c’era anche Giuseppe Cauchi, ritenuto il mandante dell’omicidio di Matteo Mendola, eseguito nei boschi di Pombia nell’aprile del 2017 per un regolamento di conti per una partita di cocaina sparita. Proprio con Cauchi, considerato dagli inquirenti un uomo vicino ai clan, si è scoperto che i contatti del carabiniere infedele erano quotidiani, frequentissimi. A testimoniarlo ci sono i tabulati ma, a causa della morte del militare, le indagini non hanno potuto approfondire questo aspetto. I suoi rapporti con la mala cittadina erano talmente consolidati che in carcere – si dice- sia stato rispettato un minuto di silenzio in sua memoria.
La mancanza, negli anni scorsi, di un vero collegamento tra il territorio e la Direzione Distrettuale Antimafia di Milano ha lasciato spazio alle organizzazioni criminali che si sono insediate in pianta stabile sul territorio. Queste, nel frattempo, si sono ben mimetizzate nelle attività legali e hanno investito ingenti somme provenienti dai canali illegali più disparati in imprese alla luce del sole. Oltre al settore edile, le imprese mafiose avrebbero investito anche in alcuni parcheggi attorno all’aeroporto di Malpensa, con guadagni milionari e controlli scarsi, in un quadro di grande armonia tra mafia siciliana e ‘ndrangheta. Si sa che dove ci sono i soldi, il sangue può aspettare.
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