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La memoria da salvare: una medaglia per il deportato Enrico Venegoni

Fatto prigioniero dai tedeschi mentre era sotto le armi, fu deportato in Germania: per due anni fu "schiavo del Reich" in Germania. Il figlio Giancarlo ha ritirato la medaglia d'onore alla memoria

Generico 2018

Il Giorno della Memoria in Italia ricorda, tra le vittime del nazifascismo, anche i deportati civili e militari in Germania. Migliaia di storie di gente comune, che scelse di opporsi apertamente o subì forzatamente la deportazione.

Tra loro c’erano anche 700mila soldati del Regio Esercito internati dopo l’8 settembre, molti dei quali, il 90%, scelsero di non rientrare in Italia neppure quando fu proposto – come ricatto – di giurare alla Repubblica Sociale Italiana (lo Stato fantoccio di Mussolini) e di venire meno al giuramento prestato al legittimo governo italiano.

Tra le migliaia di deportati c’era anche un ragazzo di 21 anni nato a Busto Arsizio, Enrico Venegoni, a cui  oggi è stata conferita la Medaglia d’onore alla memoria, consegnata al figlio Giancarlo (la famiglia oggi risiede a Samarate).

Militare, Venegoni fu fatto prigioniero a Vicenza. Prima fu mandato nel campo di concentramento di Limburg, poi fu trasferito nello stabilimento Opel di Russelsheim. Spesso i prigionieri – “schiavi del Reich” – dovevano continuare a lavorare anche quando suonava l’allarme areo: Venegoni fu ferito gravemente in un bombardamento alleato sullo stabilimento. Fu curato, finì di nuovo in campo di concentramento e quindi, dal 1944, al lavoro coatto nei campio agricoli. Fu alla fine liberato dalle truppe americane a marzo del ’45 e quindi rientrò in Italia, dove lo attendeva un lungo lavoro di riabilitazione psico-fisica con l’aiuto dell’Associazione Reduci.

La medaglia d’onore è una forma di riconoscimento speciale tributata dalla Repubblica Italiana ai civili e militari deportati, le cui sofferenze a lungo non sono state riconosciute (e mai sono state indennizzate dalla Germania).

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 25 Gennaio 2019
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