Parcheggiare i soldi sul conto corrente penalizza imprese e occupazione
I soldi non reinvestiti nel circuito economico sono sottratti allo sviluppo dei territori. Una ricerca della Liuc ha analizzato il fenomeno dei capitali dormienti nelle province lombarde
Luca Gotti, responsabile della macro area territoriale Bergamo e Lombardia ovest di Ubi Banca, durante la presentazione a Varese del XXIII Rapporto Einaudi sull’economia globale e italiana lo aveva detto con chiarezza: sullo sviluppo dei territori, specialmente quelli con una grande tradizione manifatturiera, incide la presenza o meno di patrimoni e ricchezze dormienti. Stiamo parlando di soldi che rimangono “parcheggiati” sui conti correnti, in un deposito bancario o bloccati in un investimento immobiliare non produttivo e perciò non reinvestiti nel circuito economico per fare impresa e generare occupazione.
Si tratta di un fenomeno complesso, originato da più fattori, che i ricercatori del Cerst, il Centro sullo sviluppo dei territori e dei settori della Liuc Business School, hanno analizzato nella ricerca “Patrimoni attivi e patrimoni dormienti: il potenziale inespresso di sviluppo economico del territorio”.
Un fattore, come ha sottolineato lo stesso manager di Ubi Banca, durante la presentazione della ricerca all’ateneo di Castellanza, è la scarsa educazione finanziaria degli italiani. I risparmiatori spesso non scelgono di investire perché non conoscono i fondamentali della materia, per esempio, la differenza tra un’obbligazione e un’azione. Questa mancanza di consapevolezza spesso li porta a scegliere in modo emotivo o anche a non scegliere, appunto. La scarsa fiducia nel sistema bancario – in alcuni casi meritata – degli ultimi anni, è stata a sua volta un forte deterrente all’investimento. Poi ci sono le scelte di politica economica dei regolatori, basti pensare alla Bce che ha inondato di liquidità il sistema, con una serie di effetti positivi, ma che ha finito per favorire l’accumulo di ricchezze non produttive.
La ricerca, realizzata dal Cerst e coordinata dal professor Massimiliano Serati e dal ricercatore Andrea Venegoni, ha evidenziato che lo stock maggiore di ricchezza dormiente è concentrato in provincia di Milano, ma capitali inattivi sono presenti anche a Varese, Como, Bergamo, Brescia e Monza Brianza. Sono invece le province di Pavia, Sondrio e Lecco ad avere la maggior ricchezza dormiente pro capite, mentre quelle di Mantova e Cremona mostrano maggiore spregiudicatezza negli investimenti e una scarsa propensione al risparmio. Infine, i territori maggiormente industrializzati collocati sull’asse Varese- Brescia mostrano valori bilanciati.
«La presenza di capitali dormienti in un territorio – ha spiegato Andrea Venegoni – da una parte protegge il territorio da shock negativi esterni creando un effetto attrattivo per altri capitali, dall’altra può rappresentare un freno allo sviluppo economico con la conseguente perdita di competitività del territorio». C’è dunque un punto di equilibrio, una quota fisiologica di capitale dormiente che non dovrebbe mai mancare, ma nemmeno superare certe soglie. È forse questo l’aspetto che rende molto complessa l’analisi del fenomeno dei capitali inattivi che per essere indagato a fondo avrebbe bisogno di incrociare, oltre a quelli economici, alcuni dati sociologici e demografici. Il Cerst ha scelto questa via, importando nella ricerca il tema dei talenti e l’impatto che hanno i giovani nello sviluppo. «La presenza di popolazione giovane e istruita sul territorio – ha concluso Venegoni – favorisce il dinamismo e la competitività del suo tessuto economico e industriale. La maggior urbanizzazione, economie di agglomerazione, infrastrutture e dinamica demografica vivace aumentano la propensione all’investimento».
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