Le donne? Più predisposte al fai-da-te digital
Emerge da una ricerca Liuc. Dai 591 questionari raccolti è emerso che l’11,8 % delle intervistate (con età media 49 anni) partecipa in maniera significativa al fai da te digitale
Diventare digital nel lavoro per migliorare le prassi quotidiane e migliorarsi: le donne lo fanno, autonomamente, mosse da passione e piacere per essere più efficaci ed efficienti e per superare, grazie all’innovazione di cui sono portatrici, sfide personali ma, soprattutto, professionali, spesso legate al lavoro in team.
E’ quanto emerge, in sintesi, dalla ricerca inedita di Carolina Guerini, Eliana Minelli e Aurelio Ravarini, rispettivamente professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese e di Organizzazione Aziendale le prime, e ricercatore della Scuola di Ingegneria della LIUC – Università Cattaneo l’ultimo. Gli studiosi hanno voluto indagare il fattore femminile all’interno del progetto Digital Do-It-Yourself (DiDIY), un programma avviato anni fa grazie anche al finanziamento Horizon 2020 dell’Unione Europea e realizzato dalla LIUC – Università Cattaneo nel triennio 2015-2017.
Al progetto complessivo hanno partecipato partner spagnoli, britannici e greci e una delle principali linee di ricerca, coordinata proprio dal professor Ravarini, ha approfondito il tema dell’impatto dell’evoluzione tecnologica digitale sul lavoro e sull’organizzazione aziendale.
Anche la ricerca di genere realizzata, lo scorso anno, su un campione di donne all’interno di organizzazioni complesse (grazie alla collaborazione del Comune di Milano, della LIUC – Università Cattaneo e di imprese associate a Valore Donna, Associazione che promuove la leadership femminile nel mondo delle imprese) analizza il fenomeno del Digital-do-it Yourself nell’ambito del mondo delle istituzioni e delle imprese, occupandosi quindi di DiDIYer worker.
Dai 591 questionari raccolti è emerso che l’11,8 % delle intervistate (con età media 49 anni) partecipa in maniera significativa al fai da te digitale: nella fattispecie 38 donne sono definite come DiDIYer e 32 vere e proprie maker, capaci di creare nuovi prodotti e servizi digitali senza avvalersi di alcuna collaborazione in nessuna delle fasi del processo. Si tratta di donne, per le quali le tecnologie assumono il significato di innovazione e affidabilità sebbene, allo stesso tempo, continuino a preferire le relazioni vis-à-vis rispetto a quelle mediate dalla tecnologia.
Un predittore rilevante del fai da te digitale è, secondo la ricerca, la digital literacy, mentre non appaiono significativi l’età o il tipo di organizzazione lavorativa. Tra le caratteristiche delle DiDIYer si segnala anche una formazione di livello universitario o superiore (nel 60% dei casi) che appare più elevata rispetto a quella del campione complessivo, mentre aumenta anche l’abitudine a lavorare in team (82%) e in ‘community of practice’.
La ricerca testimonia l’importanza del fenomeno del DiDIY includendo, a pieno titolo, le donne nella società digitale. Il fatto, infine, che le donne DiDIYer sviluppino autonomamente prodotti e servizi nel dominio digitale per uso professionale essendo mosse da passione e piacere conferma, inoltre, che il DiDIY è una cultura di produzione e di consumo, un fenomeno socio-tecnico e non solo una pura pratica.
La ricerca è stata presentata nel corso della conferenza stampa sulla terza edizione di #STEMintheCity, l’iniziativa promossa dal Comune di Milano per favorire la diffusione delle discipline tecnico-scientifiche e delle nuove tecnologie digitali come base formativa per le nuove generazioni e per rimuovere gli stereotipi culturali che allontanano le ragazze da questi percorsi di studio.
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