Fermare l’indifferenza: Fabrizio Gatti racconta il dramma dei migranti
Il giornalista dell'Espresso negli anni Duemila ha percorso tutta la rotta africana, da Dakar a Lampedusa, passando per la traversata. Ospite dei licei di Gallarate, ha raccontato la sua esperienza di allora, la realtà di oggi, il lavoro giornalistico
Il racconto dell’incontro e un’intervista a Fabrizio Gatti, a cura di Giornalisti Fuoriclasse
Migrazioni e migranti. È il tema affrontato lo scorso venerdì, 29 marzo, dagli studenti del Liceo Da Vinci-Pascoli di Gallarate. Ospite d’eccezione il giornalista e scrittore Fabrizio Gatti.
Centro nevralgico da cui si è sviluppato il dialogo tra Gatti ed i liceali è stato il libro, vincitore del premio letterario internazionale Tiziano Terzani, del giornalista: “Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini.”, nel quale racconta un’avventura contemporanea attraverso i deserti e il mare, dall’Africa all’Europa, dalle bidonville al mercato dei nuovi schiavi, vissuta in prima persona dall’autore (Foto di Antonio De Sarno).
Fabrizio Gatti infatti, nato come giornalista di cronaca per il Corriere della Sera ed Il Giornale, ha attraversato quattro volte il deserto del Sahara con centinaia di migranti in viaggio dal Niger verso la Libia e si è infiltrato in un’organizzazione di trafficanti di uomini in Nord Africa.
È stato recuperato in mare, rinchiuso nel centro di detenzione sull’isola di Lampedusa come immigrato irregolare iracheno, con il finto nome di Bilal Ibrahim el Habib. Sempre per svolgere una delle sue inchieste da infiltrato, si è fatto ingaggiare come schiavo, con altri lavoratori stranieri, da caporali che controllano la raccolta di pomodori in Puglia.
Nel corso di questo confronto lo scrittore, incalzato dalle domande poste dai liceali, ha potuto narrare lacruda realtà della povertà, delle malattie, della violenza e della corruzione che ha dovuto osservare durante il suo viaggio.
A comprovare il racconto sono stati gli interventi di N.T., Teodor Sylla e Lamin Danfa: rispettivamente provenienti da Togo, Guinea Conakry e Senegal. Tre profughi che, per motivi diversi, hanno dovuto abbandonare il proprio paese d’origine per intraprendere un travagliato percorso verso l’Italia. Nel presentare le proprie storie, si sono dichiarati onorati di poter partecipare ad un incontro simile, soprattutto perchè “è bene che i ragazzi ascoltino le nostre storie, l’informazione è l’unico modo per sconfiggere l’indifferenza”.
Concluse le tre intense ore di dialogo Fabrizio Gatti si è concesso ad un’intervista, tramite la quale si è potuto approfondire i temi trattati, che riportiamo qui di seguito.
L’INTERVISTA
Durante la conferenza le è stato chiesto di raccontare un’esperienza piacevole ed una che l’ha segnato negativamente. Io le vorrei chiedere qual è stato, invece, il momento che le ha fatto capire che il viaggio da lei intrapreso fosse la scelta giusta?
Per me è questo esatto momento. Vivere giornate come quella di oggi in compagnia di voi ragazzi, attenti e capaci nel saper cogliere passaggi in totale sintonia con i miei sentimenti, mi fa ancora sperare nella mia convinzione che l’unica arma che possediamo sia quella della parola, che dobbiamo saper difendere con la libertà di espressione: ed è proprio questo che noi, insieme, siamo riusciti a fare questa mattina.
Che cosa spinge i profughi a lasciare il proprio paese d’origine? Qual è la concezione dell’Italia come meta di arrivo?
Nel corso del mio viaggio ho potuto imparare di come non esistano immigrati, ma esistono persone con la propria ragione personale per essere partiti. Le persone sono tante quante le motivazioni che le spingono a partire.
L’Italia, nel periodo che indicativamente va dal 2003 al 2015, era vista come una possibile metaper riuscire a cambiare la propria condizione inserendosi nell’ambit
o lavorativo. Oggi i profughi sanno che l’Italia è un paese in cui la crisi economica ha spinto le persone a lavorare in condizioni di schiavitù, e ciò è testimoniato dal fatto che dal 2013 chi è sbarcato sulle nostre coste ha tentato poi di rifugiarsi in altri paesi dell’UE. L’Italia rimane comunque l’attracco più vicino rispetto alla rotta centrale Sahariana, divenendo uno snodo fondamentale di passaggio.
Qual è, a parer suo, la via da intraprendere per gestire il fenomeno delle migrazioni?
Fondamentale è prevenire che le persone arrivino in Libia, centro di guerra e violenza. Ciò deve essere fatto attraverso metodi umani, ovvero allacciare rapporti bilaterali con governi e comunità dei Paesi d’origine dei profughi; seminare discordia, attaccando verbalmente governi di altri paesi arrivando ad incolparsi vicendevolmente non porta a nulla.
In secondo luogo, bisognerebbe introdurre un sistema scolastico nei paesi dell’Africa Centrale, ricostruendo un sistema formativo a partire dagli insegnanti. Di ciò potrebbe beneficiare la stessa Europa, da anni in crisi demografica, formando intelligentemente i migranti per introdurli in progetti legali di formazione scolastica.
Infine, cosa che ritengo più importante di tutte, è quella di spiegare e raccontare le difficoltà che i profughi incontrano nel viaggio che devono affrontare. È vergognoso che i partiti politici in carica nell’ultimo decennio, di qualsiasi colore e posizione, siano solo stati capaci a voltare faccia di fronte
alle tragedie che si sono susseguite e che hanno visto la morte di migliaia di persone, arrivando persino a imporre la chiusura dei porti per meri interessi propagandistici. L’informazione e la consapevolezza, quindi, sono le migliori armi per gestire questo fenomeno.
Terminata l’intervista, Fabrizio Gatti ha svelato in esclusiva la pubblicazione imminente di un suo nuovo libro su cui sta lavorando da diverso tempo. Speriamo quindi di avere presto un nuovo spunto di riflessione da cui poter far scaturire nuovi sentieri di ricostruzione dell’umano, tema cardine su cui si è sviluppato l’intero incontro.
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