Si conoscono su Tinder ma la relazione finisce con l’accusa di violenza sessuale
I due si erano conosciuti su una nota chat di incontri e avevano avuto diversi rapporti consenzienti fino a quando lei si sarebbe opposta. Secondo i giudici non ci sono prove che l'abbia violentata e l'uomo è stato assolto
Assolto per insufficienza di prove dall’accusa di aver violentato la ragazza che aveva conosciuto su Tinder, la popolare chat per incontri che mette in contatto uomini e donne di tutto il mondo.
La sentenza è di oggi, giovedì, da parte del collegio giudicante del Tribunale di Busto Arsizio, presieduto da Rossella Ferrazzi. Secondo i giudici, dunque, l’uomo accusato di aver costretto una giovane di 20 anni ad un rapporto non consenziente non poteva essere condannato.
La denuncia, infatti, risale al 2015 per un episodio di violenza accaduto a maggio di quell’anno. I due si erano conosciuti tramite la nota app per incontri e avevano iniziato a frequentarsi. Dopo alcuni rapporti sessuali consenzienti e un abbozzo di relazione la giovane (difesa dall’avvocato Fausto Moscatelli) si innamora ma dall’altra parte l’uomo, un ragazzo di qualche anno più grande, continua a frequentare anche altre ragazze e non sembra volersi impegnare.
Lei continua a cercarlo per capire se la relazione può diventare qualcosa di più di un fugace rapporto sessuale fino alla sera in cui lei si rifiuta di farlo ma lui la penetra lo stesso usando la forza. Secondo la versione dell’imputato, però, anche quel rapporto sarebbe stato consenziente e la violenza nei confronti della ragazza viene ridimensionata, nel suo racconto, ad uno schiaffo dato e subito.
Durante il processo sono state ascoltate diverse testimonianze che hanno ricostruito il difficile momento psicologico che stava vivendo la giovane (che in quel periodo aveva anche problemi di bulimia, ndr) mentre quelle della difesa hanno sostenuto la versione dell’imputato (incensurato, ndr) secondo la quale la ragazza si era convinta di una esclusività del loro rapporto fino a farla diventare un’ossessione.
Il pm Giuseppe D’Amico aveva chiesto una condanna a 4 anni e 2 mesi mentre il legale dell’imputato aveva chiesto l’assoluzione.
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