“Ho combattutto al fianco del popolo curdo, temo un massacro”
Le parole di Riccardo “Botan”, il cittadino varesotto che ha combattuto al fianco delle milizie curde contro l’Isis per un anno e mezzo nel 2016 insieme ad altri europei con un’unità militare di protezione del popolo, lo YPG, nel battaglione internazionalista antifascista (AIT)
La Turchia ha lanciato l’offensiva contro la zona della Siria del Nord presidiata dai curdi. Un attcco nei confronti delle milizie curde di protezione popolare (Ypg), considerate terroriste dal governo di Erdogan, il presidente turco.
La comunità internazionale osserva con qualche timore la situazione (Arabia Saudita, Russia, Iran e Nato), minacciando ritorsioni economiche (l’Unione Europea). Gli Usa hanno prima avallato l’iniziativa turca, per poi fare marcia indietro e manifestare preoccupazione, insieme alla Gran Bretagna.
Chi vive con preoccupazione e timore per tante persone che ha conosciuto di persona è Riccaro “Botan”, il cittadino varesotto che ha combattuto al fianco delle milizie curde contro l’Isis per un anno e mezzo nel 2016 insieme ad altri europei con un’unità militare di protezione del popolo, lo YPG, nel battaglione internazionalista antifascista (AIT).
«Non mi va di apparire in prima persona, più che altro perchè non so davvero cosa fare se non manifestare preoccupazione per quello che sta accadendo – spiega -. Come ha detto anche la portavoce delle milizie curde, senza aiuti concreti dalla comunità internazionale c’è poco da fare, si rischia un massacro. Ho un sentimento di impotenza, anche Orso e gli altri che erano stati a combattere in quelle zone me lo hanno raccontato: si trattasse di attacchi solo da terra, i curdi avrebbero argomenti e armi per contrastare i turchi, ma contro i bombardamenti e i raid aerei, c’è davvero poco da fare. Là c’è ancora un bel po’ di gente che conosco, con cui ho vissuto un anno e mezzo della mia vita, fianco a fianco. I curdi un po’ se lo aspettavano, l’alleanza con gli Stati Uniti, criticata da più parti, era tattico militare, nata dopo l’aggressione a Kobane e fatta per sopravvivere, c’era da immaginarselo che prima o poi quella zona sarebbe stata di nuovo nell’occhio del ciclone. I turchi usano la scusa del terrorismo, come ad Afrin, che è stata abbandonata nel silenzio generale. Nella Siria del Nord Est l’Isis è ridotto ai minimi termini, ci sono piccoli gruppi che possono essere riciclati, ma non tornare in auge, almeno è questo che penso io. Di certo c’è che ci saranno molti morti, molti civili costretti a scappare, campi profughi e una prevedibile crisi umanitaria inevitabile, se si va avanti così. La condanna internazionale non basta, se non c’è un intervento forte a supporto delle milizie curde, vedo poche speranze».
IL RACCONTO DI “BOTAN”
Dal Varesotto alla Siria per combattere l’Isis: “Ora vorrei una vita tranquilla”
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