“Ad pristinum reverto”, la fotografia d’altri tempi di Salvatore Benvenga
Venerdì 7 febbraio al Sestante viene inaugurata la mostra che raccoglie immagini scattate con ottiche prodotte tra il 1950 e metà degli anni Sessanta
“Ad pristinum reverto” è il titolo della mostra di fotografie di Salvatore Benvenga che sarà inaugurata al fotoclub Il Sestante di Gallarate venerdì 7 febbraio alle 21 e rimarrà poi aperta nei fine settimana successivi fino al 16 febbraio.
Ventinove stampe a colori a tema ambientalistico/naturalistico su carta fine-art, frutto di riprese realizzate con diverse ottiche prodotte per la massima parte tra il 1950 e metà degli anni Sessanta.
La genesi del lavoro realizzato affonda infatti le sue radici nei test effettuati per verificare l’affidabilità meccanica ed ottica di obiettivi fotografici molto datati e fuori produzione da decenni, più o meno pregiati e ricercati dai collezionisti. I risultati, non di rado, hanno messo in evidenza delle caratteristiche del tutto introvabili nelle ottiche moderne soprattutto in termini di plasticità, tridimensionalità ed eccellente contributo dello sfocato. Nel corso di circa tre/quattro anni si è formato un archivio notevole dal quale sono state tratte una trentina di immagini molto esplicative. Per coerenza e per ragioni di spazio espositivo ci si è limitati ad una omogeneità dei soggetti ripresi, escludendo una interessante raccolta di ritratti e tematiche paesaggistiche, puntando sulla semplicità e accessibilità da parte di chiunque dei soggetti ripresi. E ,per questa ragione, ancora più sorprendenti nella raffigurazione conseguita.
In fondo, ritornare all’origine, per un fotografo consiste anche nel ritrovarsi nuovamente, con un mezzo totalmente privo degli automatismi moderni e quindi confinato nel campo della pura padronanza tecnica, alla ricerca di insolite inquadrature nelle piccole cose a portata di mano.
Scrive l’autore: «Ritornare allo stato precedente o, per estensione, alle origini, è un sentimento che, prima o poi, assale tutti. Nel caso specifico, il titolo assegnato a questa mostra fotografica va interpretato, secondo lo scopo che ho inteso dargli, ovvero come il tentativo di produrre immagini con strumenti che oggi vengono definiti “vintage”, sostantivo derivato dal francese antico “vendenge” (vendemmia), usato per dare un’aura di eleganza a ciò che è invecchiato, fuori moda, superato. Tuttavia questo non spiega tutto. Perché il filo rosso su cui questo lavoro è stato imbastito non è soltanto tecnico, per quanto questo aspetto assuma una notevole rilevanza, ma anche concettuale. I primi scatti di ogni fotografo, i suoi esercizi elementari, il suo quaderno delle aste ( e qui tradisco appieno la mia età) colgono i soggetti più semplici ed a portata di mano, ed i luoghi sono quelli situati nei pressi dell’uscio di casa: il cortile, i giardinetti, il primo sentiero che dalla periferia entra nel boschetto. Lo stupore che assale ogni fotografo quando osserva attraverso il mirino della sua fotocamera un soggetto, pur banale e comune, e scopre che in particolari condizioni di luce e di inquadratura esso assume valore estetico e si carica di suggestioni impensate, è uno stupore universale che ha toccato tutti coloro che si sono avviati sulla strada della fotografia. È – per molti versi – uno stupore originario ed originale, analogo a quel che si prova se qualcosa di affascinante ci sorprende, come capita quando – inaspettatamente – una persona che, fino a ieri, avevamo ignorato perché vestita in modo dimesso, poco curata, silenziosa e sfuggente, si rivela d’improvviso ai nostri occhi straordinariamente incantevole ed attraente. Questo solo ho inteso raccontare. Se vi sono riuscito non spetta a me dirlo».
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