I quattro vitellini “varzesi” nati al pascolo, come una volta
Il progetto del Parco del Ticino punta a consolidare la razza autoctona dell'Oltrepo Pavese: gli animali nascono e crescono in pianura, in una struttura gestita da ragazzi e volontari
Quattro nuovi vitellini di razza “varzese”, il primo ha visto la luce proprio in tempo di Covid. È il nuovo passo avanti del progetto del Parco del Ticino per la salvaguardia di una razza autoctona: i vitellini sono nato al Centro Parco “I Geraci” di Motta Visconti, gestito da volontari.
Il primo dei quattro vitellini è nato nelle settimane di lockdown, l’ultimo ha invece meno di una settimana. «Abbiamo appreso di questi lieti eventi come un segno di speranza in un periodo particolarmente difficile per tutti, anche per il mondo agricolo» dice la presidente del Parco del Ticino Cristina Chiappa, «proprio per questo vogliamo coinvolgere tutti gli amanti della natura e del nostro Parco in un sondaggio per dare il nome a ciascun vitellino. Il sondaggio verrà lanciato nei prossimi giorni sulle pagine Social del Parco» .
Il progetto “Varzese” è iniziato nel 2007: quattro vacche nutrici di razza varzese, acquistate per diffondere sul territorio dell’area protetta una razza bovina di grande rusticità, promuovendone le caratteristiche organolettiche particolari della carne e del latte e supportando le aziende agricole su un percorso che porti verso la sostenibilità economica. Unico modo per garantire il recupero di un «patrimonio genetico e culturale che stava scomparendo».
Il progetto si accompagna poi a quello del pascolo “naturale”a Motta Visconti, pensato per la reintroduzione del pascolo in pianura, che era stato abbandonato per decenni a causa dei cambiamenti dell’agricoltura e delle tecniche di allevamento, che hanno portato gli animali a vivere in stalla, alimentati con foraggio, farine e insilati.
L’esperienza del pascolo in pianura realizzato dal Parco del Ticino, grazie a due progetti cofinanziati da Fondazione Cariplo nel 2012 e nel 2016 dalla Banca del Monte di Lombardia, sta dimostrando che anche in un territorio ad alta densità di popolazione e attraversato da importanti infrastrutture si possono allevare gli animali simulando gli alpeggi di montagna, riscoprendo vantaggi e pregi di questa antica pratica agronomica e di allevamento scomparsa in pianura da decenni.
Dallo scorso gennaio ad occuparsi della cura, della salute, del benessere delle vacche e della manutenzione del pascolo turnato ai Geraci è un gruppo di giovani in forza all’Ente magentino: ragazzi del Servizio Civile, altri iscritti all’Albo dei Volontari della Biodiversità del Parco del Ticino e tirocinanti coordinati dal Settore Agricoltura del Parco. Alcuni di loro si occupano anche di trasmettere l’esperienza del pascolo attraverso una serie di video pubblicati sui social del Parco del Ticino o nei laboratori di educazione ambientale promossi nelle scuole del territorio.
«Il progetto di pascolo ai Geraci si sta rivelando importante per diversi aspetti: la salute degli animali, l’aumento di biodiversità e il coinvolgimento delle nuove generazioni» dice Silvia Bernini, consigliere del Parco con delega all’Agricoltura. «Gestire un pascolo turnato di sei ettari è diverso rispetto ad un allevamento di mucche in stalla. È un impegno quotidiano che non riguarda solo il benessere e la cura degli animali ma anche la manutenzione delle parcelle di pascolo, alcune dedicate al fieno altre all’erba ricca di proteine di cui si alimentano le mucche, e alla recinzione elettrificata che deve essere manutenuta quotidianamente. Ringrazio Michele Bove, responsabile del Settore Agricoltura, che è riuscito a trasmettere la sua passione a questi giovani collaboratori».
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