Vita in Italia, ma cittadini a metà: rempatriati i venti dominicani respinti a Malpensa
"Italiani" anche da tredici anni, sono considerati dalla normativa stranieri. Rimandato in Centro America anche un bambino di due anni nato in Italia
Sono stati rimandati in Repubblica Dominicana con un volo decollato giovedì mattina, dopo aver vissuto tre giorni nei saloni dell’aeroporto di Malpensa. Sono i venti cittadini dominicani respinti alla frontiera aeroportuale, al loro rientro in Italia.
Rientro: perché di fatto si trattava di persone che vivono da anni nel nostro Paese: hanno affetti, una vita, un lavoro. Ma la differenza la fa ancora una cosa: il passaporto che si ha in tasca. «Ci riportano a Santo Domingo perché non abbiamo la cittadinanza, anche se viviamo qua da tanti anni».
Il qua è l’Italia: vivono a La Spezia, a Napoli, a Verona. «Sono qui con mia sorella, mia cognate, mio nipote» ci ha raccontato uno di loro, costretto per tre giorni a vivere sulle sedie di Malpensa al di là della linea di frontiera. Arrivati lunedì con un volo La Romana–Milano Malpensa, per tre giorni hanno vissuto accampati, compreso qualche bambino: da martedì pomeriggio è arrivata anche qualche brandina, un po’ di cibo. La Polizia proprio martedì ha assicurto di voler “limitare quanto più possibile agli sventurati passeggeri una scomoda permanenza in aeroporto”
Ma per il resto non c’erano margini: la normativa sanitaria stabilita dal Ministero retto da Roberto Speranza si applica agli arrivi da tredici Paesi (Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kuwait, Macedonia del Nord, Moldova, Oman, Panama, Perù, Repubblica dominicana) ma non distingue i casi dei cittadini stranieri presenti in Italia da tempo (ad esempio in possesso di carta di soggiorno, il documento di lunga durata che attesta una permanenza stabile). Fin da lunedì gli italo-dominicani hanno avuto anche il sostegno di alcuni datori di lavoro, che si sono fatti avanti per dire che vivono davvero in Italia e che anzi sono importanti, qui in Italia, che facciano il cameriere o la badante presso una famiglia.
In tempi di Coronavirus e di frontiere che si rialzano, la cittadinanza diventa fondamentale: se hai il passaporto “Repubblica Italiana” passi la frontiera, senza passaporto la vita costruita in Italia diventa all’improvviso irraggiungibile. «Mi hanno rempatriato tutta la famiglia» racconta una donna che abita in Lunigiana a Radio Popolare di Milano. «Mio figlio, mia figlia, mio fratello da dieci, mio genero, mio nipote di due anni nato a Massa Carrara. I miei figli erano qua da tredici anni, mio genero da dieci. Le ambasciate se ne sono lavati le mani»
Il paradosso è che – ha scoperto “con sorpresa” la stessa polizia – sono tornati in Italia (pagando)con il volo organizzato dal Ministero degli Esteri.
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