“Credevo di morire”: la testimonianza di Filomena Fina, in ospedale per Covid da più di un mese
Filomena Fina, ricoverata in ospedale a Busto Arsizio per Covid 40 giorni fa, racconta la sua esperienza con il Coronavirus: dai primi sintomi al ricovero in ospedale, tra il casco per respirare e la paura di non farcela
«Signora, il suo tampone è positivo: il mio calvario è iniziato così», racconta Filomena Fina, ricoverata nel reparto di medicina 2 all’ospedale di Busto Arsizio (e successivamente al reparto di riabilitazione) dopo aver contratto il Coronavirus 40 giorni fa.
Febbre, tosse e mal di testa furono i primi sintomi: «Pian piano si faceva spazio dentro di me violentemente: il mio corpo era in suo possesso». Passavano i giorni e la paura di Filomena aumentava sempre di più: «Cominciavo a capire che il virus non era un semplice raffreddore, come dicono in molti».
Poi, improvvisamente, la corsa in ospedale una notte, dopo essere svenuta: «Non mi ricordo nulla, solo le grida di mio marito e di mia figlia, insieme allo sguardo terrorizzato di mia sorella». Arrivata in ospedale le sono state somministrate le prime cure, tra cui le flebo e la maschera per l’ossigeno: «Non capivo niente, gli occhi dei dottori mi facevano capire che non c’era molto da fare»; infatti con la saturazione a 88 il passo al casco è breve.
Filomena Fima in reparto
«Signora, se non funziona la dobbiamo intubare», si sentì dire dall’equipe medica: «Credevo di morire. I 10 giorni con il casco sono stati terribili: mi sentivo soffocare nonostante l’ossigeno che ricevevo. Mi sentivo sola in un letto freddo, avevo degli incubi e delle allucinazioni terribili causate dalla morfina». All’interno di quei reparti, continua Mina, «si muore da soli, il Covid non è uno scherzo».
Intanto giorni passavano scanditi da iniezioni, flebo e pastiglie da somministrare: «Iniziavo a riconoscere lo sguardo di medici e infermieri dietro quella tuta: la formalità si è trasformata in abitudine e amicizia», diventando la signora Filomena per tutta la corsia.
Dopo tre settimane di ricorrere, qualche segnale positivo, ma sempre segnato dalla cautela: «Mi è stato detto che se volevo tornare a casa sulle mie gambe dovevo fare prima un mese di riabilitazione in ospedale. Ho dovuto accettare pensando che non avrei potuto riabbracciare la mia famiglia per tanto tempo». La sua famiglia e gli amici, però, non l’hanno mai fatta sentire sola: contattandola con messaggi e chiamate riuscivano a rompere il silenzio della camera in cui si trovava da settimane.
«Ho ancora bisogno dell’ossigeno – afferma la paziente – ma il mio vero ossigeno e la mia forza sono la mia famiglia e i miei amici». Oggi, martedì 25 maggio, Fina si trova ancora su di un letto d’ospedale, ma grazie alle cure degli infermieri, Oss e dei medici riesce ad andare avanti.
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