Nei boschi di Samarate tra spacciatori senza nome, donne disperate e tanti soldi
Fino a quando non li arrestano sono solo numeri e quando dichiarano l'identità spesso sono alias. Chi sono gli invisibili dei boschi e la rete di donne che li aiuta
Non hanno un nome, una residenza, un domicilio, vivono accampati ma con uno stipendio assicurato dal capo, sono sconosciuti che vengono dal nord-Africa per rimpolpare le fila degli squadroni della droga nei boschi. Quando uno di loro finisce in carcere ce n’è sempre un altro da inserire al suo posto e questo rende quasi impossibile il compito delle forze dell’ordine che vorrebbero debellare il fenomeno dello spaccio nei boschi.
Nuove leve senza identità
L’ultima operazione messa a segno dagli uomini della Compagnia di Gallarate e in particolare delle stazioni di Sesto Calende e Vergiate, coordinate dal sostituto procuratore Francesca Parola, fa capire la difficoltà delle indagini. Per arrivare all’arresto di alcuni di loro hanno dovuto mettere in campo telecamere e fototrappole in azione per mesi, con l’intento di ricostruire l’organizzazione al cui vertice c’era Zak, incensurato e senza un lavoro ma con 19 mila euro in contanti a portata di mano.
Per tutto il periodo delle indagini i soggetti venivano annotati sulle informative con dei numeri: soggetto 1 incontra soggetto 3 e via dicendo. Quando finalmente li arrestano, poi, non c’è nessuna certezza sulla reale identità di queste persone che non hanno uno straccio di documento e spesso forniscono alias che si accumulano negli anni. L’unica certezza la si può avere dalle impronte digitali
Il ruolo delle donne
A dare man forte a queste batterie di disperati c’era anche un nucleo di donne quasi tutte legate agli spacciatori maghrebini da relazioni tossiche dovute alla dipendenza da cocaina o eroina. Erano loro a fare da autiste agli spacciatori, a fornire loro un tetto sopra la testa e a garantire anche qualche rapporto intimo in cambio di una dose.
Uno spaccato di degrado sociale che lascia interdetti, soprattutto quando i militari scoprono dai pedinamenti che una di loro si porta appresso il figlioletto. Un lavoro a tempo pieno il loro, vista l’intensa attività di smercio che avveniva nei boschi di Samarate con una media di 50 cessioni al giorno e un giro di spaccio da 150 mila euro al mese.
Il livello superiore
Le indagini della Procura di Busto Arsizio e dei Carabinieri si fermano a Milano, luogo dove abitualmente l’organizzazione acquistava lo stupefacente all’ingrosso. Questo tipo di mercato è in mano alla ‘ndrangheta calabrese e alla mafia albanese, sempre più potente e radicata sul territorio. Non è chiaro neanche se Zak sia, a sua volta, dipendente da una struttura superiore. Ci si chiede, infatti, che fine facciano i cospicui guadagni di queste organizzazioni visto che tutti risultano praticamente nullatenenti senza fissa dimora.
Spaccio nei boschi di Samarate, arrestato “Zak“ e la sua banda
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