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Bruna, dal paese martire di Fiesso alla zona di Gallarate. “Arrivai con mio papà”

Bruna Rizzi aveva tredici anni ai tempi dell'alluvione del Polesine, è passata da Padova e dall'Emilia prima di arrivare nella zona di Malpensa. "Non dimenticherò mai chi ci ha aiutato"

Polesine storie

«Sono arrivata con un camion, con mio padre, nel ’53. Solo noi due, a preparare la strada». Bruna Rizzi racconta spedita la sua lunga vita, iniziata nel Polesine e proseguita nella zona intorno a Gallarate e Malpensa, dove si è trasferita dopo l’alluvione che nel 1951 colpì la pianura in provincia di Rovigo.

«Noi eravamo di Fiesso Umbertiano, che era proprio vicino a Occhiobello dove il fiume Po ha rotto gli argini». Fiesso Umbertiano è il paese martire dell’alluvione del ’51, quasi casualmente: un gruppo di sfollati, a bordo di un camion, fu sorpreso dall’ondata di piena a qualche chilometro dal paese, morirono 83 persone, il grosso delle 101 vittime che si contarono al termine dell’intera inondazione.

Bruna Rizzi aveva allora tredici anni: «Erano giorni che, con la pioggia continua, ci si aspettava succedesse qualcosa. Si sentiva il rumore dell’acqua, come un tuono. Sono scappata in bici, io davanti in bici e l’acqua dietro. Siamo arrivati fino alla zona del Canal Bianco, che era in una zona più alta».

«Ci hanno portato prima da un mugnaio a Sant’Urbano, provincia di Padova. Poi – siccome eravamo di Fiesso e si sapeva di tutti quei morti – ci hanno creduti orfani e ci hanno portato in auto a Riolo Dei Bagni, oggi Riolo Terme, in Emilia. Lì sono rimasta da novembre fino ad aprile, quando mio papà è venuto a cercarmi per lavorare per campi. Ho dovuto lasciare la scuola, facevo la prima avviamento».
Nella sua casa a Gallarate Bruna mostra oggi il quadro donato a Riolo dei Bagni per la Pasqua del 1952, un ricordo lasciato “ai buoni fanciulli del Polesine, sfollati per causa dell’alluvione del Po”.

Dopo l’alluvione anche per la sua famiglia si aprì la via dell’emigrazione da quel Veneto poverissimo.
Come è arrivata a Gallarate? ««Con mio papà, con un camion, nel ’53, siamo arrivati a Ferno. Solo noi due, a preparare la strada. Mio papà aveva lavorato in Germania come muratore, durante la guerra è stato anche deportato in Germania: ha costruito una casa, poi l’ha venduta e siamo andati in un’altra che nel frattempo aveva costruita. Nel 1954 sono arrivati i miei fratelli e nel 1955 è nata qui la mia ultima sorella. Alla fine eravamo nove, c’era anche il nonno Rizzi».

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Una foto di famiglia prima dell’alluvione

Anche Bruna può raccontare una storia di riscatto attraverso il lavoro:« Nel 1958 mi sono sposata a Verghera, con mio marito Girolamo Nascimben. Io allora assistevo un cieco di guerra che aveva la tabaccheria in piazza a Ferno, mi ha proposto di prenderla in gestione. Nel 1963 poi abbiamo preso il bar in piazza Italia a Samarate, gestito fino al 1969. Da lì siamo andati alla tabacchiera davanti a Villa Oliva a Cassano Magnago, ci siamo trasferiti lì».

Nella famiglia allargata c’erano anche due zie, una ha vissuto con loro a Ferno e poi Samarate, un’altra si è stabilita a Solbiate. In quella zona è attiva oggi anche l’Impresa Rizzi, erede del lavoro da muratore del padre di Bruna.

Oggi, quando si ritrovano tutti insieme, cugini e nipoti, sono in 78.
Rimane il ricordo della povertà da cui sono venuti, del momento angosciante dell’alluvione: Lei non sa il silenzio che fa l’acqua ferma».
Ma c’è anche la consapevolezza dei tanti incontri in questi 70 anni in cui i veneti hanno trovato casa in Lombardia: «Qui ho trovato anche dei cafoni – dice con voce decisa – ma soprattutto tanta brava gente. In tanti ci hanno aiutato, nella nostra storia: quei mugnai di Sant’Urbano non li dimenticherò mai, se li ricorda anche mia sorella che era piccolissima».

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 13 Novembre 2021
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