Gennaio 1923, i fascisti assaltano il carcere di Gavirate e bastonano il sindaco di Laveno
Il "manipolo Belloni" squadra di picchiatori fascisti era arrivata da Intra per liberare il camerata Gaetano Lualdi. Rinviati a giudizio e poi amnistiati alla fine del 1923
L’assalto alle carceri è un fatto di cronaca frequente nei paesi dell’America Latina. In Messico i narcotrafficanti lo fanno sistematicamente per liberare i componenti del loro clan che sono stati arrestati. In Sudamerica la malavita ha una forte organizzazione militare e lo stato è debole se non spesso connivente.
L’ASSALTO AL CARCERE DI GAVIRATE
Anche in Italia abbiamo avuto episodi analoghi. Uno accadde il 12 gennaio del 1923 a Gavirate. Alle 16 e 30 di quel giorno, una squadra di fascisti composta da quindici persone, tutte armate di pistole o di moschetti, sfondò la porta del carcere. Il capomanipolo puntò alla gola dell’unico guardiano la sua rivoltella e lo costrinse ad aprire la cella dove era rinchiuso il loro camerata Gaetano Lualdi.
La guardia carceraria fece mettere a verbale del suo tentativo di farli ragionare su quanto stavano facendo ma i fascisti gli risposero sprezzantemente che ormai comandavano loro e che, se avesse fatto come dicevano, lui non avrebbe avuto guai.
NERBATE E OLIO DI RICINO AL SINDACO DI LAVENO
Il Lualdi venne liberato mentre il suo compagno di cella, un detenuto comune, fu di nuovo rinchiuso dal secondino. I fascisti uscirono dal carcere, attraversando Gavirate e si diedero alla fuga a piedi, lungo la ferrovia. Il carcere di Gavirate condivideva il cortile con la pretura. Nessuno dei presenti in quei locali si accorse di niente. Né il pretore né gli impiegati. Parte dei carabinieri di Gavirate era in trasferta dalla mattina a Brebbia, per un’indagine relativa a un furto. Due erano in servizio al mercato, perché era venerdì. Alle 17, la caserma dei carabinieri di Gavirate ricevette una telefonata dal comando di Varese che preannunciava l’assalto. Il fatto era già avvenuto da mezz’ora.
Gaetano Lualdi era di Intra. Era stato arrestato il giorno prima nel bar “Nuova Italia” di Laveno dai carabinieri per avere fatto parte di una squadra che nella mattinata aveva aggredito, picchiato con un nerbo di bue e fatto ingoiare dell’olio di ricino all’ex sindaco socialista di Laveno, Livio Arioli. Uscendo dal negozio di calzolaio dell’Arioli, avevano anche dato qualche bastonata a due passanti occasionali a scopo intimidatorio.
IL MANDANTE
Gaetano Lualdi era stato sorpreso al bar insieme ai complici, che erano riusciti a scappare. Interrogato, ammetterà il fatto, farà il nome dei complici e confesserà che la bastonatura era stata ordinata dal segretario del fascio di Laveno, Celeste Bianchi, gestore del bar. Tale accusa verrà confermata successivamente anche dai tre complici, una volta individuati e arrestati. Racconteranno anche di aver ricevuto del denaro per le “spese”.
Il gruppo che aveva assaltato il carcere e che aveva liberato il Lualdi era formato da persone di Intra che facevano parte della squadra di picchiatori denominata “Manipolo Belloni”. Erano partiti dalla loro città con il battello, armati di tutto punto. Arrivati a Laveno avevano fatto un biglietto collettivo di sola andata per Gavirate.
Nel loro viaggio erano stati notati da più persone anche perché indossavano tutti la camicia nera e trasportavano un grosso pacco, avvolto anch’esso in una stoffa nera, in cui presumibilmente nascondevano i fucili.
L’ARRESTO
Il 18 gennaio i membri del “Manipolo Belloni” vengono arrestati in base alla deposizione del custode del carcere, che li riconosce e li indica come gli esecutori dell’assalto, confermando coraggiosamente la sua prima testimonianza. Uno degli arrestati ammette il fatto e indica i nomi dei complici. Altri confessano ma si rifiutano di confermare i nomi degli altri assalitori per paura di rappresaglie da parte dei camerati. Dalle confessioni emergono anche i nomi degli autisti che erano venuti a prelevarli a Cerro di Laveno, dove si erano rifugiati dopo l’assalto, nella notte del 13 gennaio.
TUTTI IMPUNITI
I picchiatori di Livio Arioli e tutti i componenti del manipolo che compie l’assalto al carcere saranno rinviati a giudizio ma poi amnistiati alla fine del 1923. Niente pena per loro. In tutti i rapporti dei carabinieri, nella testimonianza della guardia carceraria e negli atti giudiziari, tanto i picchiatori dell’Arioli, quanto gli assalitori del carcere verranno indicati, senza tema di smentita, come fascisti. Tre mesi prima Mussolini è diventato capo del governo per mettere ordine nel paese. I suoi seguaci agiscono come malfattori impuniti.
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