Gli attivisti che hanno bloccato i jet privati a Malpensa: “Non c’è diritto ad inquinare”
La protesta di martedì all'aeroporto di Milano s'inserisce in una campagna internazionale. Una ventina gli attivisti coinvolti: "Noi rischiamo una denuncia, ma l'umanità rischia di più con i cambiamenti climatici
«Sapevamo le conseguenze legali del nostro gesto».
Luca Trivellone è uno degli attivisti per il clima che sono entrati in azione a Malpensa, bloccando il piazzale dei jet privati in un giorno simbolico, San Valentino, momento di grande attività per i voli “vip”.
Un’azione non del tutto inedita, ma radicale, che ha fatto rumore, ha conquistato le prime pagine dei giornali. Un’azione che è stata condotta da tre gruppi insieme: Ultima Generazione, Extinction Rebellion e Scientist Rebellion. Sigle collegate anche con analoghi movimenti all’estero, cresciute – in visibilità e numero di militanti – negli ultimi anni, se non negli ultimi mesi, a fronte anche dell’indubbio successo mediatico delle proteste.
Quella a Malpensa è stata condotta da una ventina di attivisti, tutti identificati dalla Polaria: non sono ancora state ufficializzate le denunce, ma loro sono consapevoli del fatto che avrebbe portato a conseguenze.
«A Malpensa eravamo due gruppi: undici all’ingresso e una dozzina che sono entrati in pista. In entrambi i gruppi c’erano rappresentanti delle tre realtà» dice ancora Trivellone, che è un attivista di Ultima Generazione, il gruppo il cui nome si riferisce al fatto che siamo all’ultima generazione in grado non certo di invertire, ma di rallentare almeno i cambiamenti climatici.
Azaria Gardumi rappresenta invece il gruppo legato a Extinction Rebellion: «Extincion Rebellion è nata nel 2018, la prima azione è stata bloccare un ponte a Londra. Qui a Milano abbiamo in corso una campagna targettizzata verso l’informazione: siamo entrati in azione alla Rai incollando dei paper e bloccando il traffico in Corso Sempione. Chiediamo alla Rai informazione di qualità, che la eviti la presenza di voci negazioni ste, che rinunci ai soldi di chi investe su fonti fossili, come Eni, che riteniamo non debba avere spazio nelle reti di servizio pubblico». Scientist Rebellion è un ramo che riunisce accademici, scienziati che scendono in piazza con il camice che li rappresenta: a Malpensa c’erano un laureato in fisica e un biotecnologo.
Gli attivisti per il clima bloccano le piste dei jet privati a Milano Malpensa
È la prima volta che mettete in campo un’iniziativa di denuncia contro il jet privati?
«Era stato bloccato l’aeroporto di Milano Linate, nella sezione dei jet privati, ma avevano bloccato solo l’ingresso. Questa è stata invece la seconda volta in cui si è entrati in pista, perché era successo già a Ciampino. È però la prima volta che l’azione viene condotta con una coalizione di più movimenti».
Che senso ha prendersela con gli aerei privati: è più una critica dal punto di vista ambientale o rispetto alla ricchezza?
«I jet privato hanno una serie di criticità. L’elemento che personalmente mi ha colpito di più è che circa il 40% dei voli privati sono “Empty Leg”, movimenti con solo personale a bordo: i voli privati non inquinano solo quando trasportano passeggeri, ma anche negli spostamenti per raggiungere il punto di partenza. Per questo abbiamo scelto la data di San Valentino, perché è una delle giornate in cui più si muovono per motivi di piacere, neppure per lavoro. Quattro ore di volo in jet privato liberano 8 tonnellate di Co2, tanto quanto inquina un italiano per un’intero l’anno, calcolando l’impatto di tutti i mezzi che usa, compresi i voli. La campagna Make them pay per questo chiede tre cose: vietare i jet privati, tassare chi vola di più, far pagare chi inquina di più. È paradossale che un normale cittadino viene tassato per il carburante, chi usa jet privati usa carburante non tassato».
Il movimento contro i jet privati esiste anche all’estero, anche in Italia ci sono account che monitorano i voli e denunciano a volte voli per svago, per andare a un concerto o a un evento magari a poche centinaia di chilometri dalla propria residenza. Cosa vi aspettate di ottenere nel medio e nel lungo periodo da queste iniziative?
«Make them Pay è una campagna che unisce più movimenti. Dire la verità sui cambiamenti è un passo necessario per arrivare a prendere decisione. Sappiamo che saranno vietate le auto con motori a combustione interna, speriamo che ben prima di questo i jet privati vengano vietati in tutto mondo: oggi l’1% più ricco inquina più del 50% più povero. Un ban è necessario».
Che reazioni vi sembra suscitino le vostre azioni?
«Da gennaio ad oggi abbiamo visto una progressiva trasformazione: le azioni da radicali diventano accettabili, possono essere discussi. Ci contattano autori di podcast, registi, c’è una condivisione. Del resto già il segretario Onu Gutierrez aveva detto che radicali non sono gli attivisti ma i governi che non prendono decisioni. Sappiamo che molti sono al nostro fianco, altri contrari alle nostre azioni: nel caso dei jet privati è contrario chi ci lavora e chi ci vola. Nessuno è a favore della violenza sociale che subiamo a causa dell’inquinamento che generano».
Entrare nella area sterile di un aeroporto, oltre le reti doganali, è una iniziativa forte: rispetto al danneggiamento contestato quando gli attivisti imbrattano, qui forse rischiate di più…
«Siamo stati allontanati per 48 ore dall’aeroporto, riceveremo poi delle multe. Siamo indagati per danneggiamento per aver tagliato la rete, che peraltro abbiamo subito richiuso usando delle fascette, una riparazione provvisoria. Noi abbiamo ricevuto già formazione legale prima delle azioni, per cui siamo consapevoli dei rischi legali a cui andiamo incontro. Ma siamo più consapevoli dei rischi legati al non agire, del non portare al centro del dibattito il rischio globale che tutti noi stiamo vivendo di fronte ai mutamenti climatici: a fronte di questo, valutando questi due rischi, abbiamo scelto di ribellarci ed entrare in pista».
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