Riforma sanitaria e medicina territoriale in Lombardia, Galimberti ottimista e Antonelli no
I sindaci di Varese e Busto Arsizio si sono confrontati con i direttori di distretto che si stanno formando alla Business School della Liuc. Dai loro interventi emergono due visioni della riforma sanitaria in atto
I sindaci di Busto Arsizio e Varese sono intervenuti al termine di una lezione che si è svolta oggi, giovedì, alla Business School della Liuc di Castellanza sul tema dei direttori di distretto socio-sanitario, una figura chiave che, nel complesso panorama del welfare, deve sapere rispondere a bisogni eterogenei e interagire con stakeholder differenti, dai sindaci alle Rsa, dal sistema politico al volontariato.
Per fornire le competenze manageriali richieste a quanti aspirano a ruoli apicali in questo ambito è nato il Corso di formazione per Direttori di Distretto, avviato lo scorso anno da Polis Lombardia, e condotto dai professori Emanuele Porazzi e Giulio Carcano. La seconda edizione, accreditata da Polis Lombardia, vede protagoniste della progettazione formativa e della gestione del corso l’Università degli Studi dell’Insubria e la LIUC Business School.
Contaminarsi (parola forse un po’ forte in ambito sanitario, ndr) è la parola emersa nel dialogo che si è aperto tra le due figure istituzionali che rappresentano 160 mila abitanti della provincia di Varese, e i direttori sanitari che hanno partecipato al corso, provenienti dal Varesotto ma anche dal resto della Lombardia.
Il primo ad intervenire è stato il sindaco di Varese Davide Galimberti: «Io ed Emanuele come tutti i sindaci italiani siamo solo formalmente autorità sanitarie. Prima della pandemia era evidente che i sindaci e le amministrazioni locali venivano coinvolte solo per firmare i Tso e questo è stato probabilmente un limite che abbiamo visto nelle situazioni di grande criticità come la pandemia. C’è stato un disallineamento tra territorio e sanità anche per questo divario. Creare questa mediazione nel territorio è compito di tutti i sindaci. L’impressione è che ci sia stato una sorta di allontanamento del mondo della sanità dai territori e dai comuni. Questo richiede un ripensamento che la riforma sanitaria lombarda ha cercato di risolvere».
Galimberti ha spiegato che la direzione welfare e i vari istituti sanitari, gli ospedali e le Ats hanno un rapporto diretto: «Questo è stato un grosso limite perchè ci è capitato di vedere come unico riferimento esclusivamente la direzione welfare della Regione. Si è creato un rapporto di dialogo esclusivo lasciando fuori i comuni e tutti coloro che ruotano attorno all’ambito socio-sanitario. Con la pandemia è nata una consapevolezza diffusa di creare più soggetti che realmente compartecipino alla gestione. Da giurista penso che tutte le norme si debba cercare di applicarle nel miglior modo possibile. Questa è un’occasione per mettere al centro il ruolo socio-sanitario. I distretti avranno il compito di creare le giuste relazioni tra tutti gli attori del territorio che possono dire qualcosa di concreto sulla sanità».
Il sindaco del capoluogo ha racontato di un’esperienza territoriale che sta funzionando: si tratta di una sorta di comitato specialistico che si chiama Varese in Salute, fatto di esperti della sanità. È stato creato per introdurre nella macchina amministrativa delle competenze che possano essere consultate: «Ad esempio stiamo rivendendo il Pgt e il comitato è stato sentito, ascoltato e ha prodotto documentazione per quanto riguarda il socio-sanitario».
«Il compito che oggi hanno le case di comunità e tutta la sanità territoriale è mettere in stretto collegamento ciò che avviene in ambito sanitario con quello che avviene in ambito sociale. L’ambito psichiatrico, le mense scolastiche, lo sport sono aspetti che vanno legati strettamente al sanitario. Ultimo aspetto è il tema del Pnrr, ci sono somme incredibili per la parte sanitaria, penso alla telemedicina. Nel nuovo pgt ci sarà un piano regolatore sociale che avrà il compito di pensare quelli che sono i nuovi servizi che possono essere forniti dai sistemi digitali».
Cosa si aspetta il sindaco di Varese da questa nuova figura di direttore di distretto? «Mi aspetto un incremento del dialogo tra tutti i soggetti di cui parlavamo prima. Far emergere i bisogni con una certa frequenza è importante per una figura di coordinamento come questa. Penso al tema dell’invecchiamento, le nuove povertà. Fornire servizi sempre più puntuali, magari a domicilio, usando la tecnologia è la sfida che vorrei cogliere insieme al sistema sanitario. Le case di comunità devono essere costruite dal basso e non dall’alto, basandosi sulle esigenze della parte sociale e della parte sanitaria».
La visione del collega Emanuele Antonelli è meno ottimista: «Dopo la pandemia ci siamo accorti che qualcosa non andava. Il sistema sanitario lombardo era un’eccellenza e adesso si vuole tornare alla medicina territoriale. Prima la colpa era più dei sindaci che non se ne occupavano. Io sento molto spesso i dirigenti dell’Asst Valle Olona e abbiamo un ottimo rapporto. Noi sindaci non possiamo essere autorità sanitaria perchè non abbiamo le competenze. Quando si è trattato di decidere sul nuovo ospedale unico ho chiesto agli esperti in materia, prima di decidere».
Prosegue Antonelli: «Adesso ci sono troppi organi di coordinamento territoriale e temo che si stiano complicando le cose. Io sono troppo pratico e nella vita faccio il commercialista. I problemi, credo, sono altri e in primis c’è mancanza di soldi e risorse umane per fare le cose. Ci sono problemi anche con il personale, ad esempio ho avuto problemi durante il covid coi medici di base che, a parte alcuni che si sono immolati, molti sono stati poco reattivi e collaborativi. Ora invece i medici di base non si trovano. Mancanza di personale e mancanza di soldi non mi fanno ben sperare. A questo ci aggiungiamo anche l’esplosione dei tempi di attesa per le prestazioni. Non dico che questa riforma sia fatta male ma credo che non funzionerà».
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