Giorgia e Linda sono volate in Svezia come ragazze alla pari
Giorgia Ejelli da Cassano e Linda Pozzi da Comabbio hanno vent'anni. E si sono lanciate in un'esperienza all'estero, di lavoro ma anche di crescita e ricerca personale
La Generazione Z è la generazione della scoperta: un’esperienza didattica all’estero durante gli studi pare essere diventata un must tra le cose da spuntare nella bucket list di ogni studente, l’università all’estero è scelta diffusa e facilitata dai progetti dell’Unione Europea, il volontariato in un Paese straniero è attività dilagante tra i giovani.
Tra le tendenze c’è anche la riscoperta dell’esperienza dell’au-paring: di cosa si tratta? Ce lo spiegano Giorgia Ejelli (da Cassano Magnago) e Linda Pozzi (da Comabbio), entrambe ventenni (sono del 2003), entrambe au pair n Svezia.
Au pair. Cosa vuol dire?
«Significa alla pari, non necessariamente ragazza alla pari. Si tratta cioè una o un giovane maggiorenne Under 30, non sposato e senza figli, che presta aiuto ad una famiglia straniera, in cambio del vitto e dell’alloggio. Siamo come delle sorelle o dei fratelli maggiori con qualche responsabilità in più: prepariamo la cena ai bambini, ci occupiamo di riordinare la loro camera, assicuriamo loro vestiti puliti, li accompagniamo a scuola e alle attività del pomeriggio, giochiamo e facciamo disegni insieme; ma la gestione della casa non direi che è compito nostro».
Giorgia torniamo un po’ alle origini…come avete scelto di partire e soprattutto perché proprio questa esperienza?
«Dopo essermi diplomata ho tentato un test per la facoltà di Design: purtroppo non è andata. A settembre non sapevo di preciso cosa fare, ho iniziato a cercare qualche lavoretto ma nulla capace di soddisfare le mie aspettative – sia a livello di mansione che di retribuzione -. Ho deciso così di non rimanere nella mia mia cameretta dove di esperienze significative e allettanti non c’era nemmeno l’ombra e dove iniziavano a vorticare sensazioni negative: sentivo andare in fumo un anno della mia vita. Ho preso in mano la situazione, mi sono iscritta sul sito aupairworld.com – piattaforma di cui ero venuta a conoscenza grazie all’alternanza scuolalavoro – ho cercato di fare un profilo il più completo possibile, ho contattato le famiglie più interessanti della penisola scandinava che tanto avrei voluto visitare, una videochiamata, un aereo ed eccomi là».
Diverso il percorso di Linda: «Io non riuscivo nemmeno a vedermi nelle aule dell’università. L’idea di fare la ragazza alla pari balenava da nei miei pensieri, insieme alla sensazione di essere sbagliata, quando tra i banchi di scuola, prima dell’esame di maturità, tutti sapevano già cosa studiare, dove cercare lavoro, a quanti anni sposarsi e quanti figli avere. Io no. Non sapevo ancora cosa fare, avevo bisogno di un anno per capire. Di andare a tentoni e buttarmi in una facoltà scelta inconsapevolmente non ne volevo nemmeno sapere. La mia decisione, quella giudicata inusuale da compagni e docenti, mi ha permesso di migliorare, di uscire dalla mia zona di comfort, di ampliare i miei orizzonti, e soprattutto di smettere di sentirmi sbagliata per la mia scelta. È proprio nella comunità di au pair di Stoccolma che ho trovato appiglio: ho conosciuto altre ragazze e ragazzi che hanno avuto il coraggio di ammettere a loro stessi che ancora non erano certi di sapere cosa volere per il loro futuro e che hanno deciso di prendersi un anno – che non definirei più sabbatico, perché l’au-paring non con è considerabile vacanza- per decidere consapevolmente cosa fare “da grandi”».
Come avete fatto a trovare una famiglia ospitante? Le”conoscenze” per assicurarsi un posto sono state indispensabili come spesso succede nel Bel Paese?
«Assolutamente no. Nessuna conoscenza o raccomandazione è necessaria. Puoi essere preferito ad altri candidati perché hai esperienza come babysitter o aiuto compiti, un certificato di primo soccorso o da
bagnino, perché hai aderito a qualche iniziativa particolare come il volontariato, gli scambi culturali o anche perché hai fatto il Cammino di Santiago».
“Carissimi genitori io parto”. Come hanno reagito le vostre famiglie?
«Mamma e papà mi hanno supportata ma mi hanno anche detto “Linda, devi pensare anche all’università!”. Non essendo una scelta convenzionale capisco il loro timore, ora però si divertono a venirmi a trovare e sono felici abbia scelto consapevolmente il mio prossimo percorso di studi».
«I miei genitori da un lato se l’aspettavano che la loro Giorgia non sarebbe rimasta in Italia» continua Ejelli. «Ho sempre pensato che non fosse il mio posto nel mondo (e ne ho avuto la conferma nel momento in cui mi sono trasferita all’estero per fare quest’esperienza). Sono fieri dei successi che sto ottenendo e sicuramente molto contenti del fatto che abbia trovato due famiglie ospitanti veramente rispettose e sempre disposte ad aiutarmi, direi che sono abbastanza sereni».
Come avete vissuto il rapporto con gli amici italiani? Nel paese ospitante siete riuscite a fare amicizia?
«Gli amici italiani ci vedono felici, sono contenti per noi; siamo nel 2023 e con la tecnologia che abbiamo ora è piuttosto semplice rimanere in contatto. Sì, a volte la mancanza si sente, ma nulla che una chiacchierata con altri au pair non possa risolvere. Qui in fatti, tra au pair, è difficile trovarsi da soli a visitare un museo o a prendere un the. Certo, non tutte le volte funziona, ma quando va bene – nella maggior parte dei casi – le amicizie diventano solide».
«Con gli svedesi è un po’ diverso: che sono piuttosto freddi e che non tendono a dare confidenza facilmente non è solo un pregiudizio. Abbiamo trovato molto difficile conoscere persone del posto ma una volta che fai breccia nel loro cuore sono fantastici».
A che punto siete dell’esperienza? Qual è la vostra progettualità futura?
«Io sono prossima alla vita da universitaria, tornerò in Italia» spiega Linda. «Mentre Giorgia tornerà a Stoccolma dalla sua prima famiglia ospitante, lì sarà di nuovo au pair e cercherà di mettere radici nella capitale svedese. Ammetto non mi dispiacerà avere la scusa per tornare in quella che è stata casa per un anno. Abbiamo tutti il magone.
Un aneddoto sulla Svezia ce lo raccontate?
«Certo! Se per noi latte e biscotti costituiscono la colazione classica di ogni bambino, non solo nei cinepanettone, per loro mangiare biscotti a colazione è assurdo. Sembrerà strano, ma per loro sono dessert. E se la mettiamo così, anche per noi sarebbe strano mangiare latte e una fetta di Foresta nera o Sacher tutte le mattine».
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