Da Dairago a Busto Arsizio l’asse di ferro di mafia e ‘ndrangheta: “Lo facciamo per i carcerati”
La rinata locale di Legnano guidata da Massimo Rosi aveva integrato anche il gruppo dei gelesi vicino ai Rinzivillo. Le società gestite da prestanome e il bar andato a fuoco a Busto
Le indagini che si sono susseguite negli anni (Bad Boys, Infinito, Krimisa e Krimisa bis) sembrano non aver scalfito minimamente la capacità di riorganizzazione della ‘ndrangheta nella zona tra Legnano e Lonate Pozzolo. L’ennesima inchiesta che apre uno squarcio sul potere mafioso in Lombardia rimette al centro la locale che dagli anni ’90 si concentra su quest’area, forte di un continuo ricambio generazionale e di nuove figure che subentrano nell’organigramma al cui vertice per tanti anni ha visto stagliarsi il profilo ingombrante di Vincenzo Rispoli.
La pax mafiosa nel nome degli affari
Questa volta, tra l’altro, lo fa in una joint venture con la camorrra dei Senese (potente clan radicato a Roma e con radici sempre salde a Napoli) e con la mafia del mandamento di Castelvetrano e i Rinzivillo, altro gruppo strettamente legato al territorio lombardo, decapitato con l’inchiesta Fire Off nei primi anni ’10 e tornato ad alzare la testa sempre con Busto Arsizio al centro dei propri interessi. Una pace mafiosa di cui parlò nel 2010 già l’allora procuratore di Busto Arsizio Dettori e che è diventata anche alleanza per gli affari con un reticolo di società gestite da prestanome che servivano a riciclare montagne di danaro da immettere nella “bacinella”, la cassa comune che serviva, oggi come allora, a mantenere le famiglie dei carcerati. Così parlavano nei summit a Dairago: «I soldi servono per i carcerati, quando viene ALE, “ALE i soldi li ho presi io, perchè? Per i carcerati! Sono serviti ai carcerati! – Adesso vediamo di… come si può fare… mandiamo…in settimana, un pensiero per i carcerati! Stoppiamo tutti i pagamenti! per tutti! – Mandiamo un pensiero per i carcerati! Quello che tu riesci a fare, dopo qui! è la cosa principale, i carcerati..! – … i carcerati devono essere i primi a fare. Poi che siamo ad attaccarci i calabresi , o i napoletani o i siciliani, i carcerati vanno mantenuti prima di ogni altra cosa a questo mondo! penso che tu lo sai meglio…- io passo da Roma – me li lasci a me? – e te li lascio a te ..e tu te la vedi tu – … i carcerati devono essere i primi a fare..».
La richiesta di Vincenzo Rispoli a Massimo Rosi
A reggere la locale negli ultimi anni è stato Massimo Rosi (a sinistra nella foto), 60enne pluricondannato per traffico di stupefacenti, che aveva riunito attorno a sè nel terrreno di uno storico affiliato, Giacomo Cristello, a Castano Primo i nuovi accoliti dell’organizzazione e aveva ricevuto dalla Calabria la possibilità di formare nuovi affiliati. A chiederglielo sarebbe stato proprio Vincenzo Rispoli dal 41 bis tramite il figlio Alfonso.
Mafia, ndrangheta e camorra si incontravano a Dairago e Busto Garolfo
Rosi, grazie ad una fitta rete di prestanome e di conoscenze, è presente in diverse società dalle quali trae profitto per l’organizzazione. A Dairago e Busto Garolfo si riunisce in uffici a disposizione dell’organizzazione insieme ad esponenti dei Senese e dei Fidanzati. Nella Seven Space di Busto Garolfo, ad esempio, che si occupa di ristrutturazioni e bonus 110%, nella Logistica 2000 compare la figlia e gestisce parcheggi di importanti ospedali pubblici e privati, compare nella Blu srl, nella Servizi Integrati di Dairago e in diverse altre società, tutte gestite da prestanome usati come schermo a causa dell’impossibilità dei principali protagonisti di aprirne a nome proprio.
I gelesi alleati e il bar chiuso e poi bruciato
Da notare, inoltre, il collegamento stretto tra gli uomini di Rosi e quello che rimane della mafia gelese dei Rinzivillo a Busto Arsizio. Dario, Fabio e Francesco Nicastro, anche grazie alla storica vicinanza di Rosario Bonvissuto ai calabresi di Legnano e Lonate, partecipano ai summit pur mantenendo le loro attività separate come il bar Fermata 36, al centro di una querelle quando fu inaugurato che coinvolse anche l’amministrazione comunale (all’inaugurazione partecipò l’allora assessore alla Sicurezza Max Rogora mentre il sindaco declinò l’invito, ndr). Quello stesso bar finì per essere prima chiuso per rissa e spaccio e poi bruciato poco tempo dopo.
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