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Fiorella e il ricordo del mitragliamento a Gallarate nel ’45. “Quel giorno ho perso mia mamma”

Fiorella Macchi, milanese, era una bambina sfollata a Marchirolo nelle valli varesine. A novant'anni è tornata nel luogo dove ha perso sua madre Ersilia il 20 gennaio 45, a tre mesi dalla fine della guerra

mitragliamento Gallarate

Fiorella Macchi aveva dieci anni nel 1945: in un gelido giorno di gennaio a Gallarate perse la madre, uccisa nel mitragliamento di un treno passeggeri da parte di aerei alleati. Sono passati novant’anni e oggi visita per la prima volta il luogo dove la vita della sua famiglia è cambiata per sempre.

«Mia mamma – Ersilia Lainati Macchi  – aveva paura dei bombardamenti a Milano, lei insisteva subito per scendere in rifugio, in cantina» ricorda Fiorella Macchi, che incontriamo all’ombra del campanile del santuario di Madonna in Campagna, alla periferia Sud di Gallarate, a poche decine di metri dal punto dove si fermò il convoglio alle 8.40 del mattino del 20 gennaio 1945.

Nella fase più buia della guerra scoppiata nel 1940, la famiglia Macchi aveva deciso che per mamma e bambine – Fiorella di dieci anni, Giuliana di 12 –  era meglio lasciare Milano. «Ad agosto [1943, ndr] quando ci sono stati i grandi bombardamenti siamo andati a Marchirolo» località quasi vicino al confine svizzero, dove forse la famiglia aveva qualche conoscente. «Abbiamo preso il treno fino a Varese, poi il “trenino bianco”», la piccola ferrovia oggi scomparsa che da Varese saliva nelle valli.

«A Marchirolo avevamo affittato una casa, noi andavamo a scuola lì». Al sicuro, lontani dalle incursioni che colpivano sempre più spesso Milano, con bombardamenti diurni degli americani sulle fabbriche e attacchi notturni degli inglesi che invece prendevano di mira i civili. Al 18 gennaio però mamma Ersilia e papà Luigi festeggiavano il loro tredicesimo anniversario di matrimonio e dunque lei era tornata a Milano: le memorie famigliari tramandano di una serata di libertà, uno spettacolo al Teatro Nuovo di piazza San Babila, ancora integro e attivo in mezzo alle case bombardate.

Milano bombardamenti
Piazza San Babila dopo i bombardamenti dell’agosto 1943. In primo piano la chiesa semidistrutta, di fronte il palazzo che ospita il Teatro Nuovo

La tragedia si compì al rientro di Ersilia a Marchirolo: salita su uno dei pochi treni diurni che partivano da Milano (di solito si viaggiava di notte per evitare rischi), non poteva sapere che quel giorno il treno sarebbe finito nel mirino di una formazione di aerei alleati, che in quel periodo pattugliavano i cieli con l’obiettivo di colpire ogni mezzo di trasporto – colonne militari, ma anche treni, battelli, singole auto o carri – e paralizzare il traffico di persone, merci, armi. I caccia comparvero alle 8.40 del mattino, mentre il treno Milano-Varese già rallentava per entrare in stazione a Gallarate, nodo di diramazione tra più linee.

Strage a Gallarate: il 20 gennaio 1945 mitragliamento e bombe sul treno da Milano

L’eco dell’attacco si diffuse subito a Milano e spinse Luigi Macchi ad andare a cercare la moglie. «Lui è arrivato qui a Gallarate e ha già visto le salme lungo la ferrovia, ma non ha trovato la mamma» continua nel suo racconto la signora Fiorella. «Le avevano assicurato che non era tra i morti, se non era lì. A quel punto mio papà è salito a Marchirolo, ma mia mamma non c’era: ricordo che quando è arrivato io gli ho chiesto subito della mamma. È rimasto a Marchirolo la notte e al mattino è tornato a Gallarate e lì l’ha trovata morta. Quando l’hanno riportata a Milano aveva la bandiera sulla cassa, abbiamo fatto il funerale privato».

L’album delle esequie, custodito dalla famiglia, mostra il corteo muoversi in una Milano innevata, in via Calvairate, tra viale Molise e piazzale Martini.

mitragliamento Gallarate

La vita della famiglia cambiò subito: «Io avevo dieci anni, mia sorella Giuliana di dodici. Mia mamma aveva 37 anni» ricorda ancora la signora Fiorella. «Siamo venuti via subito da Marchirolo, abbiamo continuato la scuola a Milano, dalle suore a Porta Vittoria». A inizio marzo arrivò a Milano un pacco di lettere di cordoglio e affetto, scritte dalle compagne di scuola di Marchirolo.

Un ricordo di famiglia, non una memoria collettiva

Nel memoria famigliare è stato tramandato il ricordo di una tragedia ingiusta, arrivata quando c’era la percezione che la guerra si stesse avviando verso la conclusione e già si pensava di riprendere la vita.
La stessa Ersilia aveva un progetto: «Stava avviando un’attività di vendita di maglioni, in collaborazione con la figlia della signora che affittava casa a Marchirolo» racconta la nipote Ines Manzilli, che ci mostra anche i biglietti da visita dell’attività, per cui era già stata chiesta la licenza, con il nome commerciale “Fiorella”. Quando il messo del Comune si presentò a casa della famiglia per consegnare la licenza scoprì che Ersilia era morta.

Generico 15 Jan 2024

Ersilia Lainati Macchi è ricordata nel monumento di piazza Insubria, a Milano, tra le vittime civili del quartiere Calvairate, mentre a Gallarate la tragedia del mitragliamento del treno non è mai stata elaborata in forma di memoria collettiva: non ci sono lapidi né opere a stampa che ricordano nello specifico quel fatto, che si può ricostruire solo attraverso tracce di archivio e un riferimento in un libro di storia locale.

Concludiamo la nostra intervista all’ombra della torre dell’acqua del deposito ferroviario di via Pacinotti a Madonna in Campagna, allo scalo merci dove in quel 20 gennaio ’45 i ferrovieri del deposito e delle vicine officine furono probabilmente i primi a prestare soccorso.

Fiorella Macchi, testimone diretta di quella tragedia, ci racconta della sua vita successiva: dopo un viaggio a Londra, è diventata hostess delle Linee Aeree Italiane, poi Alitalia; ha girato il mondo, confessa il suo amore per gli Stati Uniti, un sentimento che è di molti italiani, che – da un punto di vista collettivo – misero da parte il rancore verso gli ex nemici, per poter riprendere a vivere.
È passato molto tempo da quel giorno del ’45 e la vita nonostante tutto è continuata: Ersilia, morta tragicamente, ha lasciato due figlie e oggi ci sono cinque nipoti, dieci bisnipoti, cinque trisnipoti.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 20 Gennaio 2024
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