In cima all’Everest senza gambe: l’esempio di Andrea Lanfri arriva a Busto Arsizio
L'atleta toscano ha perso le gambe e sette dita delle mani per una meningite nel 2015. Sette anni dopo ha conquistato l'Everest. L'incontro martedì 19 marzo al Teatro Fratello Sole
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Nel 2015 una meningite fulminante, con sepsi, ha cambiato radicalmente la vita di Andrea Lanfri che allora aveva 29 anni e dovette subire l’amputazione delle gambe e di ben sette dita delle mani. Una situazione drammatica che, una volta “assorbita”, ha dato vita a qualcosa di grande.
Andrea, nato a Lucca nel 1986, da quella tragedia personale ha trovato la forza di riprendere a fare sport fino ad arrivare a un traguardo a prima vista impensabile. Il 13 maggio 2022, alle 5.40 del mattino, Lanfri è arrivato in cima al mondo: accompagnato dalla guida alpina Luca Montanari ha infatti raggiunto la vetta del monte Everest, a quota 8.848 metri sul livello del mare. Dando, spiega lui, «uno schiaffo al batterio che mi ha ridotto così».
Andrea Lanfri racconterà questo e altro a Busto Arsizio nella serata di martedì 19 marzo: dalle ore 21 l’alpinista paralimpico sarà ospite del ciclo “Lo sport come terapia” in un incontro organizzato al Teatro Fratello Sole di via Massimo D’Azeglio 1 (ingresso libero fino a esaurimento posti). Lanfri è stato invitato dall’organizzazione no-profit “Mai Paura Odv” presieduta da Emanuela Bossi: «Andrea è un esempio per noi e per i ragazzi che seguono la nostra Onlus: cade ma non si abbatte, riparte da zero, converte le proprie abilità precedenti ad una nuova impostazione fisica e psicologica e poi via, spedito come un treno. E non si ferma più».
Dopo le amputazioni Lanfri diede vita a un crowdfunding che gli permise di tornare a fare quegli sport che già amava: la corsa, l’arrampicata, la bicicletta. Nel 2016 si è avvicinato all’atletica paralimpica di cui è stato protagonista in campo nazionale (9 titoli italiani) e internazionale (un argento ai mondiali paralimpici, un argento e due bronzi agli europei). Poi l’alpinismo: prima il Monte Rosa, poi il Monte Bianco nel 2020 e quindi, addirittura l’Everest.
«Ciò che faccio lo faccio in chiave sportiva – dice l’atleta e scalatore toscano – A me piace vivere la vita, utilizzo solo degli strumenti diversi, in carbonio e titanio ma il
risultato è lo stesso. Per salire sul tetto del mondo servono motivazione, umiltà e tanto amore per la vita». E tra i risultati ottenuti c’è anche la pellicola “Everest with three fingers” presentata al Festival del Cinema di Cannes.
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