Pedalando in Argentina con Ernesto Guevara, non ancora il Che
Dopo una tappa molto umida i due ciclisti Carlo Motta ed Enzo Bernasconi arrivano ad Alta Gracia, dove un museo ricorda l'infanzia e la giovinezza del famoso rivoluzionario, che prima fu viaggiatore
Nuova puntata di “la bicicletta argentina”, l’avventura di Carlo Motta ed Enzo Bernasconi, partiti da Cuggiono.
Questa tappa arriva ad uno dei momenti centrali del viaggio, l’incontro con la bicicletta di Ernesto Guevara, non ancora “il Che” rivoluzionario, ma solo un giovane curioso e pronto a viaggiare
Il racconto è di Carlo Motta.
Qui tutte le puntate
Sabado 16 de marzo
Villa general belgrano-Alta gracia
52 i chilometri percorsi e 640 i metri saliti.
Tappa corta ma un poco bagnata e molto molto umida.
Comincia a piovigginare pochi km dopo la partenza, ma quel che più infastidisce è l’elevato tasso di umidità (a pelle siamo al 90%). Le nubi basse, quasi ad altezza d’uomo,ci accompagneranno sino a poco prima dell’arrivo. La strada comincia a salire, entriamo nella “sierra grande”ed il paesaggio cambia. Le dimensioni paiono più umane, valli un po’ più strette, strade con carreggiate ridotte e con curve, addirittura tornanti.
Svetta il Cerro Champaqui, la cima più alta che misura 2800 metri snm, che in lingua comechingona, il popolo precolombiano che abitava queste terre, significa “agua en la cabeza”.
Avviciniandoci ad Alta Gracia, il cielo ci concede qualche squarcio di sereno ma l’umidità rimane altissima; è li che la famiglia Guevara-De La Serna andò per curare i problemi respiratori del piccolo Ernestito (c’è da sperare che cent’anni fa il clima fosse meno umido).
Abbiamo appuntamento alle 12 con le guide del museo e, con la puntualità che sempre ci contraddistingue, alle 11.59 siamo all’ingresso di villa nidya, la casa museo di Ernesto “Che” Guevara. Di “el Che” saprete tutto o sicuramente più di me quindi mi limito a poche cose. Nato nel 1928 a rosario si trasferì qui con la famiglia nel 1932 su consiglio medico proprio per curare l’asma e vi rimase sino al 1943 per poi trasferirsi a Cordoba.
Nel museo vi sono oggetti di vita quotidiana: abiti, giocattoli, inalatori per l’asma, quaderni, libri (anche “Cuore” di De Amicis), ecc. Vi sono immagini che ritraggono “el che” nelle varie fasi della vita, particolarmente tenere quella dei primi anni di vita e dell’adolescenza, un filmato dei giochi con le sorelle, quelle poco o per nulla conosciute. C’è anche una piccola urna con un po’ delle ceneri di Alberto Granado, “mi Al”, il grande amico con cui Ernesto ha effettuò nel 1952-53 il viaggio in moto per l’America Latina descritto nel libro “notes de viaje, latinoamericana” e nel film ” i diari della motocicletta”…
A fianco anche un poco della terra raccolta dove fu sepolto “el che” in bolivia. Una sala ospita la replica della Norton 500 usata per tale viaggio, la poderosa II: un pesante cancello, la definisce esteban, la nostra giovane guida: come dargli torto. Chissà che difficoltà guidare quella moto praticamente senza ammortizzatori, su strade dal fondo impossibile, carica di bagagli e passeggero.
In un’altra sala è esposta la bicicletta che Ernesto usò per il viaggio in solitaria che fece per l’Argentina attraversando 12 province e percorrendo oltre 4000 km. Si tratta di una bicicletta equipaggiata con un motore Micron di 38 cc della Meccanica Garelli de Milan (come recita un giornale dell’epoca) che è stata trovata nella casa della nonna paterna a Buenos Aires e donata al museo. Un’altra bicicletta che si sostiene sia quella usata da Ernesto è di proprietà del collezionista italiano Giancarlo Bucci che intende donarla a Cuba. Non sappiamo quale sia la bici su cui Ernesto posò le terga ma poco importa.
Guardando le poche foto di questo cicloturista di oltre 70 anni fa colpiscono anzitutto il viso imberbe ma deciso, gli occhiali da sole per proteggersi anche dalla polvere di quelle strade che non conoscevano asfalto, il copertone a tracolla come un ciclista dei primi anni del secolo, le borse sul portapacchi e sul manubrio, i pedali con le gabbiette, i pantaloni larghi.
E poi il sorriso aperto quando un’altro scatto di quel viaggio lo ritrae ospite di una famiglia di contadini.
C’era già qualcosa di straordinario in quel ragazzo.
“Sobre todo, sean siempre capaces de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo”. Che dire altro.
Poi viene sera e, dopo un piatto scialbo e sciatto di gnocchi al pomodoro, è bene andare a dormire.
Un caro saluto a tutti e, come ci insegna “El Che”, è sempre meglio stare in campana.
Carlino
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