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Trentatrè voci in piazza San Giovanni a Busto Arsizio per chiedere un carcere più umano

Un gazebo, un microfono e un cartello che riportava il numero 45 che rappresentano le vite perse all'interno di un sistema carcerario che Stefano Binda ha definito "una condanna a morte per sottrazione"

stefano binda

Su una popolazione carceraria di circa 62 mila detenuti l’anno scorso ci sono stati 45 suicidi in Italia. Un numero impressionante che è stato al centro della maratona oratoria che si è svolta oggi, mercoledì, in piazza San Giovanni a Busto Arsizio in un’iniziativa organizzata dalla Camera Penale bustese e che ha visto alternarsi al microfono 33 voci autorevoli come quella del giudice Adet Toni Novik, di chi lavora in carcere come quella del garante dei detenuti Pietro Roncari e di don David Maria Riboldi, di ex-detenuti come Stefano Binda (da innocente) e Nino Caianiello e di molte altre figure che in un modo o nell’altro hanno deciso di portare la loro testimonianza a favore di un sistema carcerario più umano e che davvero miri al reinserimento sociale.

Un gazebo, un microfono e un cartello che riportava il numero 45 hanno mostrato per una giornata a chiuque fosse passato dalla piazza, la durezza di una situazione che è andata oltre il rispetto della vita umana e di cui nessuno, a partire dalla politica, si vuole occupare in modo strutturale.

Lo ha sottolineato l’avvocato Samuele Genoni che ha definito le attuali condizioni dei detenuti «indegne per un paese che fa della rieducazione uno degli scopi fondamentali della privazione della libertà. A ciò poi si deve aggiungere la cronica carenza di personale, di attività di trattamento la difficile gestione delle problematiche sanitarie, il dramma nel dramma che è rappresentato dai detenuti cosiddetti psichiatrici, cioè quelli che in carcere per come è concepito oggi, non dovrebbero stare perché non hanno assistenza qualificata e poi torniamo a parlare del numero dei detenuti che dà inizio anno si sono tolti la vita senza dimenticare di quelli che la vita l’hanno avuta salva, grazie al pronto intervento della polizia penitenziaria, del personale medico infermieristico presente nelle strutture. Parliamo in piazza tra la gente alla gente per la gente, aspettiamoci di certo perplessità, dubbi perchè il carcere è un argomento di cui nessuno vuole sentire parlare o un argomento che suscita reazioni di pancia che però sono anche il carburante di una certa politica che ha un’idea di carcere che è profondamente errata e che parte da un presupposto sbagliato, cioè dal presupposto, secondo il quale la repressione è la cura per la devianza la carcerazione la cura per riparare un’offesa».

Particolarmente toccante la testimonianza portata da Stefano Binda, oggi presidente della cooperativa La Valle di Ezechiele che aiuta i detenuti a reinserirsi attraverso il lavoro. Le sue parole, alla luce di una carcerazione preventiva durata 4 anni prima della sentenza di assoluzione, sono toccanti: «Da noi non è prevista la pena di morte ma di fatto, già oggi, una qualsiasi condanna al carcere è una condanna ad una morte civile, sociale, genitoriale. 45 suicidi sono tanti dei quali 16 erano in carcerazione preventiva. Il carcere non può diventare una condanna alla morte fisica per omissione perchè non si fa quello che si deve fare perchè sia vivibile il carcere».

Pubblicato il 26 Giugno 2024
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