Il leghista Speroni difende gli outfit di Salis, Rackete e Lucano al Parlamento Europeo: “Odio le etichette”
L'ex eurodeputato bustocco, famoso per il suo vestiario fuori contesto: «Non criticate Salis e Rackete per come si vestono. Parola di uno che ha sempre odiato le etichette (e ha lottato per eliminare le cravatte dal Senato)»
«Non criticate Ilaria Salis e Carola Rackete per come si vestono al parlamento europeo, così come Mimmo Lucano o chiunque altro. Contrastiamoli per quello che dicono e per le posizioni politiche che sostengono, ma lasciamo perdere le etichette estetiche».
Per Francesco Speroni, storico esponente della Lega che in Europarlamento ha militato per vent’anni, le imposizioni al vestiario dei politici sono sempre state una bestialità. «Anzi – spiega l’ex ministro – io ho sempre amato stare a Strasburgo e Bruxelles piuttosto che a Roma anche per la libertà di vestirmi come desideravo, con abiti comodi».
Nel libro “Il Volo Padano”, scritto con il giornalista Marco Linari ed edito da poche settimane su Amazon per ripercorrere i 40 anni di storia della Lega, ha raccontato tutti i dettagli di questo suo senso particolare per la moda. Non a caso Speroni è famoso ancora oggi proprio per le strane cravatte sfoggiate in parlamento. Si spazia da quella con Paperino e i nipoti Qui, Quo, Qua a quella a quella viola fluorescente, «anche se la peggiore – ricorda lui – fu quella con un aeroplanino in plastica montato all’altezza del nodo, mentre sul tessuto era disegnata una pista di atterraggio». In verità moltissimi ritengono indimenticabile il suo bolo texano, un cordino tenuto da un fermaglio in stile cowboy, sfoggiato all’esordio a Palazzo Madama.
«Ho sempre lottato per eliminare giacche e specialmente cravatte dal Senato, dove ancora oggi vige l’obbligo di indossarle. Visto che hanno sempre bocciato gli emendamenti che ho avanzato in merito, allora ho forzato la mano indossando le cravatte più assurde che trovavo, sperando mi consentissero di non metterle più. Ma non è successo».
In Europa, invece, proprio nella sua biografia ricorda la prima seduta a cui partecipò, nel 1989: «Per l’insediamento arrivai in giacca e cravatta, anche se le odiavo. Mia moglie era orgogliosa, perché a suo parere ero finalmente elegante. Solo che mi guardai attorno e vidi gente proveniente da tutte le nazioni con un abbigliamento molto più casual». Dal giorno dopo tornò a vestirsi come più lo aggradava.
In Italia, invece, tutto era più complicato. «Ho fatto le mie battaglie. Una volta, come racconto nel libro, finii per partecipare a una riunione in Regione Lombardia con una canottiera azzurra, perché io le mettevo prima che le sfoggiasse Umberto Bossi. Le felpe della Padania le ho poi usate spessissimo in momenti istituzionali».
Insomma, non sarà mai lui a dare lezioni agli altri politici su come ci si veste: «Oltre al fatto che i tempi sono cambiati, in Europa è sempre stato così. E poi io ho sempre indossato cose decorose. Magari possono non piacere, ma nei regolamenti non c’è scritto che i vestiti devono essere belli o di un certo colore».
In questo suo odio all’etichetta dell’abbigliamento, non ha mai concesso sconti. Tranne uno: «L’unico a cui non ho detto di no è stato Silvio Berlusconi. Mi fece ministro alle Riforme nel suo primo governo. Ci teneva che avessi cravatte serie ed eleganti durante le riunioni. Ogni volta, prima del Consiglio dei Ministri, mi aspettava sulla porta, mi sistemava il nodo e mi ringraziava dello sforzo che avevo fatto per indossare quello strumento di tortura al collo».
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