In Lombardia duemila ettari di nuovi capannoni. E seimila ettari di fabbriche dismesse
Negli ultimi quindici anni il consumo di suolo è stato elevatissimo soprattutto per la logistica, nonostante ci siano enormi aree da "rigenerare". Ora il Pirellone pensa a una legge che guidi lo sviluppo, urbanisti e ambientalisti chiedono maggiori regole. Non solo per ragioni ambientali
«La legge arriva quando i buoi sono scappati». Legambiente Lombardia e Istituto Nazionale di Urbanistica usano questa immagine – legata alla tradizione contadina – per descrivere il progetto di legge regionale che regolamenta lo sviluppo di nuovi grandi insediamenti logistici (nella foto di apertura dell’articolo: lavori di raddoppio dello scalo merci di Sacconago, Busto Arsizio, vicino a Malpensa).
Da almeno un decennio i grandi poli della logistica stanno erodendo suolo in un’area – quella intorno a Milano – già fortemente segnata dal consumo di suolo e dall‘impermeabilizzazione, che espone ancora più i territori ai danni legati a violente precipitazioni, nubifragi e inondazioni. Un fenomeno che tocca tutta la “corona” intorno a Milano, spingendosi anche nel vicino Piemonte: se dieci anni fa le aree più esposte erano l’Est Milano, il Piacentino e Malpensa, negli ultimi anni l’edificazione si è spinta ancora più in fuori: nei dintorni di Novara o fino a Treviglio, complice la costruzione dell’autostrada BreBeMi.
Il tema si era affacciato già qualche anno fa (c’era una proposta delle opposizioni) ma la spinta dal mondo economico è diventata più potente senza che si individuassero strumenti di governo pubblico, aggiuntivi anche rispetto alla legge sul consumo di suolo introdotta una decina di anni fa dal Pirellone.
Il tutto mentre si moltiplicano anche i dubbi rispetto all’erosione del suolo e anche del paesaggio, come testimoniano tante iniziative di comitati in giro per Lombardia e Piemonte. Nella sola Lombardia circa duemila ettari di territorio dall’inizio degli anni Duemila si è già trasformato in capannoni e piazzali logistici, mentre al contempo rimangono migliaia di metri quadri di aree dismesse inutilizzate.
Seimila ettari di aree dismesse inutilizzate
«I seimila ettari di aree industriali o commerciali dismesse della Lombardia rappresentano una grave inefficienza territoriale, oltre che una ferita al paesaggio e all’ambiente» commenta Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, che con Inu e DAStU (Dipartimento di Architettura e Studi Urbani, Politecnico di Milano), è stata promotrice del Centro di Ricerca sul Consumo di Suolo. È per questo che Legambiente e Istituto Nazionale di Urbanistica guardano «positivamente» ad una Legge, ma non lesinano critiche: «Il governo regionale è rimasto alla finestra per anni mentre si verificavano fenomeni potenti, ma disordinati, di reindustrializzazione, come avvenuto per la logistica industriale. È il momento di introdurre politiche pubbliche per accompagnare gli investimenti industriali al fine di ottenere risultati anche in termini di rivitalizzazione di tessuti produttivi e di riabilitazione di aree degradate. Invece abbiamo visto sorgere capannoni in mezzo alle campagne, semplicemente togliendo sempre più terreno alle attività agricole».
Stiamo bruciando la “pelle” della Terra. Ed è un grosso problema, soprattutto in Lombardia
Quei poli cresciuti nel nulla
S.M., 24 anni un ragazzo pakistano, è morto nel settembre 2023: è stato investito mentre in bici, come ogni giorno, andava a lavorare da Covo al polo logistico di Calcio, nella Bergamasca, pedalando sulla provinciale 102, teatro di frequentissimi incidenti.
A.S ha ventisei anni, è stato investito ad aprile 2024 sulla strada provinciale 234, nel Lodigiano.
Lavoratori “deboli”, costretti a vivere in qualche paese di campagna, per raggiungere poi un capannone logistico in mezzo alla pianura, costruito su una Statale o vicino ad uno svincolo autostradale.
Perché i poli sorgono seguendo le esigenze della produzione, ma quasi mai sono accompagnati da investimenti che accompagnino l’impatto sociale, dal trasporto pubblico all’alloggio. Moltissimi lavoratori sono stranieri, a bassa scolarizzazione, spesso giovani e maschi, “catapultati” in territori di cui non conoscono nulla, a volte senza un tetto sotto cui dormire: per questo secondo Legambiente e Inu serve una risposta anche dal punto di vista della coesione sociale, per non creare ulteriori tensioni.
«La ricetta proposta dalla legge [proposta in Regione] è tardiva e semplicistica» afferma Andrea Arcidiacono, membro della Giunta Esecutiva di INU e docente di Pianificazione Urbanistica al Politecnico di Milano. «La designazione di aree idonee per i nuovi insediamenti non può essere affidata alla sola negoziazione tra comuni e province, ma richiede una condivisione con le parti sociali e una forte regia dal livello regionale, che parta dalle dotazioni del territorio per arrivare a definire le necessarie misure di compensazione e mitigazione degli impatti non evitabili, nella piena considerazione del suolo libero, sia esso agricolo o naturale, come una risorsa irrinunciabile. In altre parole, occorre fare pianificazione regionale per le politiche di sviluppo che impattano sul territorio: per la Lombardia, anche in considerazione della sua altissima densità di popolazione e di attività, si tratta di una necessità vitale quanto imprescindibile».
Striscioni sul territorio di Castiglione delle Stiviere, contro il progetto di polo logistico a LonatoLe nuove regole solo per i grandi poli, sopra i tre ettari
Tra le necessarie modifiche, Legambiente e Inu chiedono di abbassare da tre a un ettaro la soglia dimensionale oltre la quale i nuovi insediamenti logistici sarebbero soggetti alla regolamentazione, ed inoltre una formulazione più stringente per il riutilizzo di aree dismesse, il divieto di prevedere nuovi ambiti logistici in aree agricole definite come strategiche, l’obbligo di compensare le perdite di servizi ecosistemici dovute alla scomparsa di superfici agricole o naturali, insieme a una definizione degli oneri a carico dello sviluppatore che riconosca gli impatti che gravano sui comuni del circondario, e l’inclusione, tra le tipologie di insediamenti sottoposti alla nuova normativa, anche dei centri di elaborazione dati (data center).
Infine, proprio dalla considerazione della grandissima superficie occupata dai grandi poli logistici, INU e Legambiente chiedono di introdurre nella norma un obbligo di copertura fotovoltaica di capannoni e piazzali, al fine di concorrere al perseguimento degli obiettivi regionali di produzione energetica rinnovabile, senza dover occupare nuovo suolo.
Nuove esigenze
Anche in questa fase la Lombardia sta fronteggiando diversi progetti, alcuni anche eclatanti, come quello del polo logistico a fianco del santuario di Caravaggio, che ha visto persino la chiesa bergamasca impegnata nel contrastare l’intervento, in una zona resa appetibile per la logistica da quando è stata realizzata l’autostrada BreBeMi.
Intorno a Malpensa crescono i poli dell’e-commerce, che vede come ovvio approdo il principale scalo milanese: molto si discute sull’ampliamento dell’area di “prima linea” in aeroporto (con espansione dello scalo bocciata dal Ministero dell’Ambiente e su cui si cercano mediazioni) ma l’impatto è legato anche ad altri interventi nelle zone circostanti.
Nuovo polo previsto a Ferno, vicino a MalpensaNel Nord Milano si potenziano gli scali ferroviari: la maggiore domanda è legata alle più strigenti regole della Svizzera per il passaggio di camion attraverso le Alpi, con il progetto Alptransit. Da un lato è una dinamica positiva, perché i treni attraversano le Alpi senza inquinare, ma poi i camion a bordo dei vagoni merci vengono in gran parte sbarcati appena oltre confine, negli scali tra Novara e zona di Malpensa.
Fenomeno comunque diffuso in varie Regioni del Nord, anche nel Nord-Est. Opere legate alla ferrovia, ma che poi sono a loro volta spesso accompagnate da nuove bretelle stradali. Con altro consumo di suolo “vergine”.
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