In un’impresa familiare su quattro il capo è un settantenne. Pregi e difetti della leadership “anziana”
L’età avanzata dei leader aziendali può influire negativamente sulle performance. Salvatotre Sciascia (Liuc): "Pianificare per tempo il passaggio generazionale è essenziale per garantire la continuità e il valore economico delle imprese familiari"
Alla fine degli anni Settanta, nelle case degli italiani risuonavano le note di una famosa canzone scritta e cantata da Domenico Modugno, dal titolo “Il vecchietto”. Il ritornello, decisamente amaro, faceva così: “Il vecchietto dove lo metto? Dove lo metto non si sa”. Nonostante il ritmo allegro, la canzone pone una questione triste: la mancanza di spazi di inclusione per i vecchi, che non trovano posto “forse neppure nell’aldilà”, cantava amaramente Modugno.
L’ANZIANITÀ DELLA LEADERSHIP AZIENDALE
Cosa succede se il vecchietto è il proprietario dell’azienda? Con la questione dell’invecchiamento devono fare i conti anche le imprese italiane, soprattutto quelle familiari, che spesso esprimono leadership che hanno superato abbondantemente i settant’anni. «Una recente analisi (Heidrick e Struggles 2024, ndr) – spiega Salvatore Sciascia, professore di economia aziendale alla Liuc di Castellanza – rivela che l’Italia si trova sul podio dei paesi in cui gli amministratori delegati arrivano al loro ruolo più tardi, in media a 52 anni, e sono mediamente più anziani, sessant’anni».
In Italia c’è dunque un tema di anzianità rispetto alla leadership aziendale, ma se si restringe lo sguardo e si prendono in considerazione le aziende familiari, un’indagine dell’Aub, l’Osservatorio sul business family dell’Università Bocconi, rivela che il 27% delle aziende familiari italiane è guidato da amministratori delegati con più di settant’anni.
L’ANZIANITÀ È UN VALORE?
«La domanda che ci dobbiamo porre su questo tema – continua Sciascia – è se l’anzianità dei leader aziendali è un valore oppure no. E soprattutto quanto influisce sulle performance aziendali». Come spesso accade, la risposta non è così netta o, meglio, non sta agli estremi ma nel mezzo, perché la leadership dai capelli bianchi riflette sia luci che ombre. Tra gli aspetti positivi, il professor Sciascia elenca: l’esperienza, la stabilità, le relazioni esterne, la coesione, la tradizione e la continuità. Tra quelli negativi: la rigidità, l’adattamento alle nuove tecnologie, il distacco dalle nuove generazioni, la salute e le interferenze dei legami familiari.
I dati dell’Aub forniscono una certezza. Le performance dell’azienda, tanto in termini di crescita del fatturato quanto in termini di redditività operativa, sono influenzate dall’età del leader indipendentemente dal settore di appartenenza, dalle dimensioni e dall’età dell’impresa stessa.
SVECCHIARE LA LEADERSHIP MIGLIORA I RISULTATI AZIENDALI
«Ciò che si riscontra – sottolinea il docente dell’Università Liuc – è che le imprese guidate da leader over settanta soffrono, mentre quelle guidate dagli under 50 sembrano performare meglio. L’analisi dinamica delle performance rivela che le imprese che hanno cambiato il loro leader over settanta con uno più giovane hanno riscontrato performance mediamente migliori sia per quanto riguarda la crescita che la redditività. Dunque, la situazione italiana non può definirsi fisiologica».
GLI STRUMENTI PER FACILITARE IL PASSAGGIO
Le aziende, per facilitare il passaggio a una leadership più giovane, possono mettere in campo azioni ben definite come: stabilire delle regole da inserire nello statuto sui limiti di età per l’accesso a posizioni di leadership, pianificare il passaggio di consegne per far sì che non sia né improvviso né improvvisato, prevedere nella parte finale della carriera del leader un periodo piuttosto lungo di co-leadership. «Quest’ultimo modello di governance aziendale – sottolinea l’economista – è stato utilizzato nel periodo post Covid e sembra essere uno dei più efficienti. Prima di arrivare a questo punto, bisogna costruire all’interno delle organizzazioni degli ambienti inclusivi anche sotto il profilo generazionale, prevedendo programmi di mentorship, con cui i vecchi leader possono guidare i più giovani, o meccanismi organizzativi, come i comitati ombra, attraverso i quali i giovani talenti possono essere consultati dai leader più anziani».
LEADERSHIP E PROPRIETÀ
Non solo il passaggio della leadership va programmato per tempo. Anche quello della ownership, cioè della proprietà, pur essendo su un piano diverso, richiede una programmazione. Accade spesso che la proprietà dell’azienda venga trasferita dopo la leadership, in un’età troppo avanzata o, nella maggior parte dei casi, dopo la morte del proprietario, correndo il rischio di disperdere il valore economico e sociale dell’impresa.
Per affrontare il passaggio di proprietà ci sono strumenti adeguati, come il patto di famiglia, nel caso in cui si possa e si voglia trasferire la proprietà all’interno della cerchia familiare. In assenza di eredi motivati e capaci, è altrettanto responsabile programmare per tempo anche un’eventuale cessione dell’azienda di famiglia all’esterno con soluzioni più di continuità, come il trasferimento a soci di minoranza o a manager. Ci sono poi soluzioni di discontinuità, come la cessione ad altre imprese o fondi. «È una questione di responsabilità nei confronti della famiglia – conclude il professore Sciascia – perché programmare per tempo il passaggio di leadership e ownership, consente di mantenere la coesione familiare e al contempo il valore economico dell’impresa. È un atto di responsabilità sociale nei confronti di tutti gli stakeholder: le imprese familiari, al pari di tutte le altre, rappresentano un bene comune che trascende gli interessi delle singole persone e delle famiglie che le controllano».
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