Non ci fermiamo e andremo avanti: il presidio di via Curtatone lancia una raccolta fondi
Gli abitanti non si arrendono e credono nella forza della comunità che non cede alla rassegnazione
Bagnati fradici, stanchi ed emotivamente provati gli attivisti di via Curtatone già giovedì pomeriggio lo promettevano: non si arrendono e credono nella forza della comunità che non cede alla rassegnazione. «Si sono presi cura l’uno dell’altro: dei più anziani, egualmente trascinati via dalla polizia, dei più arrabbiati, con le lacrime agli occhi al pensiero del proprio orto distrutto, dei più preoccupati, per le denunce e per aver temuto per la propria vita, in cima alle piattaforme» scrivono in un comunicato.
Oltre a rilanciare l’impegno sul fronte dell’ambiente, gli attivisti rilanciano anche su un altro fronte. «La mobilitazione a difesa del bosco di Via Curtatone è stata pesantemente repressa sia penalmente che economicamente (fogli di via, multe, denunce): per far fronte alle spese legali collettivamente e non lasciare nessuno indietro, invitiamo a donare alla cassa comune di solidarietà “Rizoma”».
Di seguito il comunicato integrale
Via Curtatone, 3 ottobre, ore 4.45. Lo sgombero del presidio permanente ha inizio: le forze dell’ordine militarizzano la via per eseguire l’operazione poliziesca che porterà, a fine giornata, alla rimozione delle persone resistenti sugli alberi e al completo taglio del bosco.
Ma facciamo un passo indietro: in via Curtatone, a Gallarate, città con già il 54% di suolo cementificato, sorgeva un bosco urbano di due ettari situato tra l’autostrada e la ferrovia. Al suo interno trovavano dimora numerose specie di animali selvatici e gli orti degli abitanti delle contigue case popolari. Proprio su questo terreno, l’Amministrazione Comunale ha previsto la costruzione di un polo scolastico unico in sostituzione di quattro scuole di quartiere, attualmente esistenti e così destinate alla chiusura.
Contro il progetto Grow29, questo il suo nome, finanziato da fondi europei al costo di 18 milioni di euro, è sorta una forte mobilitazione popolare. Avremo modo e tempo per raccontare pubblicamente questa resistenza, di cui qui delineiamo solo i tratti essenziali: il perdurare da oltre due mesi, la costruzione di piattaforme sugli alberi a loro difesa, la presenza di un presidio permanente alle reti del cantiere, l’unione spontanea di anime ed età differenti (dai 93 ai 7 anni!).
L’atteggiamento delle istituzioni nei confronti di questa mobilitazione è stato di totale negazione della sua natura politica, trattandola esclusivamente come problema di ordine pubblico, come spesso accade nei casi in cui la politica è dal basso e non partitica. La concretizzazione fattuale di tale postura è culminata nello sgombero di giovedì 3 ottobre.
L’operazione poliziesca è iniziata nella notte: un ruolo di spicco è stato assunto dalla Polizia Locale (già usata precedentemente più volte dal Sindaco come “polizia personale”, di fatto ledendo la separazione dei poteri), giunta sul posto insieme con poliziotti in borghese, Carabinieri, Polizia di Stato, Corpo forestale dello Stato, unità cinofila, antisommossa, militari in mimetica, personale dotato di caschi e imbraghi e persino un elicottero. La ditta Tagliaferri, responsabile dell’abbattimento dell’intero bosco, ha operato il giorno stesso con bulldozer, draghe e motoseghe.
La dozzina di persone che presidiava l’ingresso del bosco è stata invitata a dileguarsi e a provvedere essa stessa allo smantellamento del presidio esterno. Alla volontà di non abbandonare la lotta, la D.I.G.O.S. ha risposto con la rimozione forzata dei presidianti, sollevandoli di peso. Denunciamo pubblicamente: durante questa operazione a un ragazzo che stava filmando la polizia ha prima rubato il telefono, per poi restituirglielo completamente distrutto e inutilizzabile; una ragazza è stata ammanettata senza alcuna ragione per poi essere liberata solo a seguito di nostre proteste.
Una volta sgomberato il presidio esterno, le forze dell’ordine si sono introdotte nel bosco, dove, nella più totale illegalità e assenza di qualsivoglia misura di sicurezza, hanno iniziato a tagliare gli alberi nonostante la presenza di persone esterne ai lavori all’interno del cantiere, al punto che tronchi recisi sono addirittura caduti sulle corde che collegavano le piattaforme tra di loro. Questi fatti hanno costituito un vero e proprio attentato alla vita dei ragazzi sugli alberi, nonché di tutto il personale operante in loco.
In seguito, personale non qualificato e sprovvisto di dispositivi di protezione individuale ha tentato rocambolescamente di arrampicarsi sugli alberi, nonostante la pioggia scrosciante, issando scale alla bell’e meglio e costringendo i ragazzi a scendere senza le minime misure di sicurezza, mettendo così seriamente a rischio la loro incolumità.
Contemporaneamente un folto gruppo di solidali si è assembrato per contestare lo sgombero in corso: fin dalle prime luci dell’alba la polizia ha precluso l’accesso a via Curtatone tramite il dispiegamento di un
cordone di celere. Durante l’intera mattinata: a diverse persone sono stati sequestrati i documenti d’identità per due intere ore, al fine di impedire loro di allontanarsi e persino di recarsi al lavoro; a un giornalista è stato intimato di non avvicinarsi alla zona, di fatto negando la libertà di stampa; sono stati additati i manifestanti stessi come responsabili di qualsiasi danno che avrebbero potuto subire i ragazzi sulle piattaforme.
Fatto ancora più grave è il mancato intervento dell’ambulanza: nonostante le plurime telefonate ricevute, il personale sanitario si è rifiutato di accorrere, delegando esplicitamente alla sola polizia la salvaguardia della salute di tutti i presenti. Durante l’unica telefonata in cui non ci è stato appeso il telefono in faccia, persino la Croce Rossa di Gallarate ha ammesso in primis di non essere stata incaricata di presenziare allo sgombero, e secondariamente ha denunciato l’illeceità di effettuare uno sgombero se sprovvisti di presidi medici. Solo a quel punto è arrivata l’ambulanza, non, quindi, perché chiamata dalla polizia, ma perchè spronata dai manifestanti stessi.
Nemmeno i vigili del fuoco erano presenti, essi hanno preso parte allo sgombero tardivamente, solo una volta costatata l’impossibilità da parte della polizia di rimuovere le ultime due persone dalla piattaforma più alta, a ben 13 metri di altezza.
Dopo aver denunciato le numerose illegalità e violenze compiute dalle forze dell’ordine, in totale continuità con l’atteggiamento tenuto in questi due mesi di lotta, raccontiamo ora del cinismo bieco dimostrato dal sindaco di Gallarate, Andrea Cassani.
Proprio per la mattina del 3 ottobre egli aveva indetto il “A tu per tour” del quartiere di Cajello, con inizio in un bar situato nelle immediate vicinanze del bosco e noi abbiamo subito colto l’occasione di quel confronto col sindaco, tanto richiesto e sempre negato. La sua risposta esplicita la sfacciata indifferenza circa il parere della cittadinanza: “Fosse stato per me, lo sgombero sarebbe stato fatto molti giorni prima”.
Alle ore 14 circa, la giornata di sgombero si è conclusa.
Due ettari di bosco sono stati tagliati, numerosi animali uccisi e il diritto alla salute collettiva è stato ancora una volta calpestato, in una zona dai livelli d’inquinamento tra i più elevati in Europa, aumentando così l’esposizione a malattie e abbassando la qualità di vita.
Non solo: persino la cosidetta “fascia di garanzia”, è stata rasa al suolo, nonostante questa zona boschiva perimetrale fosse stata riconosciuta come da salvaguardare, secondo gli accordi tra Parco del Ticino, Prefetto e Comune di Gallarate. Il Parco del Ticino stesso, la mattina dello sgombero, ci ha riferito che il Sindaco avrebbe garantito (sia chiaro: solo verbalmente e senza alcun accordo scritto) circa la sua tutela.
Ebbene, questo è quanto abbiamo imparato: allo stato attuale non c’è alcuna fiducia possibile nè nell’Amministrazione Comunale, nè nelle forze di polizia e di primo soccorso, nè negli enti ufficiali preposti teoricamente alla salvaguardia della biodiversità.
Un altro tipo di fiducia, invece, ci rimarrà per sempre impressa nei cuori: quella per cui, bagnati fradici, stanchi ed emotivamente provati, abbiamo scelto di non separarci nemmeno a sgombero concluso. Ci siamo, invece, riparati al caldo dove abbiamo condiviso un pasto frugale e ci siamo presi cura l’uno dell’altro: dei più anziani, egualmente trascinati via dalla polizia, dei più arrabbiati, con le lacrime agli occhi al pensiero del proprio orto distrutto, dei più preoccupati, per le denunce e per aver temuto per la propria vita lassu’, in cima alle piattaforme.
Insieme, nonostante i numerosi tentativi di polizia e forze politiche di dividerci tra “buoni e cattivi”.
Insieme, nonostante un tessuto sociale completamente defraudato della propria capacità aggregativa e dell’autonomia decisionale riguardo il territorio in cui abita.
Insieme, non a causa dell’emergenzialità di una singola giornata di sgombero, ma a vittoriosa conseguenza di un percorso di crescita durato due interi mesi. Mesi di condivisione e di lotta.
Ciò che abbiamo scoperto, infine, è la forza di una comunità che non cede alla rassegnazione.
Il Presidio di Via Curtatone
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