Curare i social media insieme ai giovani
È fondamentale educare i ragazzi all’uso consapevole e sicuro dei social media, coinvolgendoli attivamente nella creazione di soluzioni, e investendo in infrastrutture per la socialità adatte alle nuove generazioni
Lo confesso: sono un guardone. Questa settimana ho viaggiato utilizzando molti mezzi e ho osservato cosa guarda la gente sullo smartphone. Ci sono varie tipologie: scrolla, clicca, e rispondi sulla messaggistica; gioca, gioca, gioca; digital shopping; video surfing su TikTok o YouTube shorts; cinema in tasca. In molti casi i giovani vanno tanto veloci che non riesco proprio a seguire: il mix di immagini e video è così variegato, con un guazzabuglio di sequenze improbabili di gatti, tette, cani, torsi, oscenità, degni dell’oscar “kitsch & trash”. Lo confesso: guardare non mi permette di capire. Ma ci sono due notizie negli ultimi giorni che forse ci aiutano a capire meglio come proteggere i giovani (e non solo) dai pericoli del mondo digitale. Da una parte, uno studio danese ha rivelato che Instagram non solo non rimuove i contenuti che incitano all’autolesionismo, ma addirittura aiuta a diffonderli tramite il suo algoritmo. Dall’altra, l’Australia ha approvato una legge che vieta ai minori di 16 anni di utilizzare i social media, con l’obiettivo di tutelare la salute mentale dei più giovani. Entrambi i casi ci pongono davanti a grandi interrogativi su come affrontare la questione in modo efficace.
Il caso Instagram: promesse non mantenute
Lo confesso: anche io sono dipendente dai social media. Dato il mio ruolo di comunicatore, una ventina di anni fa mi sono rivolto allo studio associato Marco&Giovannelli per una consulenza. “Mah, se non vuoi facebook, twitter, almeno impara ad usare LinkedIn”, mi dissero. E da allora, non ho fatto altro. Non so cosa siano Instagram, TikTok, X, etc. Quindi per saperlo mi devo documentare. Ecco cosa ho scoperto. Lo studio condotto da Digital Accountability ha creato una rete falsa di profili su Instagram, con persone di età anche inferiore ai 13 anni, che condividevano contenuti legati all’autolesionismo. In un mese sono stati pubblicati 85 post, che includevano immagini di sangue, lame e persino incoraggiamenti a farsi del male. Risultato? Nessuno di questi post è stato rimosso dalla piattaforma, nonostante le promesse di Meta, la società proprietaria di Instagram, di usare l’intelligenza artificiale per individuare e cancellare questi contenuti pericolosi.
Anzi, l’algoritmo di Instagram ha suggerito ai profili dei 13enni di connettersi con altri membri della rete autolesionista, contribuendo a rafforzare e diffondere il fenomeno. Questo comportamento contraddice le politiche dichiarate dalla piattaforma e solleva domande sulla reale priorità data alla sicurezza dei giovani rispetto all’aumento dell’engagement.
Il caso Australia: un divieto che divide
Lo confesso: non sono mai stato in Australia. Anzi quando mia figlia ha ipotizzato di andarci, ho pregato che non lo facesse. È vero il Paolino, compagno di bici, ci va una volta all’anno a trovare sua figlia e ne dice ogni bene. Per me rimane dall’altra parte del mondo “di sotto”. Però questa settimana ha fatto notizia. Il governo australiano ha deciso di adottare una misura drastica: vietare l’accesso ai social media ai minori di 16 anni. La legge, che entrerà in vigore tra un anno, prevede multe fino a 50 milioni di dollari australiani per le aziende che non si adegueranno. Tuttavia, non è chiaro come i social potranno verificare l’età degli utenti senza raccogliere dati personali sensibili, come il passaporto, con il rischio di comprometterne la privacy.
Molti esperti e organizzazioni, come Amnesty International, hanno criticato la legge. Secondo loro, un divieto così rigido potrebbe spingere i giovani verso spazi non regolamentati come il dark web o farli sentire ancora più isolati. Inoltre, l’assenza di consultazioni approfondite con i giovani stessi ha portato a una misura percepita come distante dalle loro reali esigenze.
La lezione che possiamo imparare
Lo confesso: sono ancora più perplesso di prima. Siamo in Europa e una società americana, ignorando le nostre leggi, mette a repentaglio le vite dei nostri figli. In Australia vietano i social media ai giovani, nativi digitali, fino a quando possono avere la patente (16 anni), che è come togliere loro l’aria. Questi due casi ci mostrano che non esistono soluzioni semplici per affrontare problemi complessi. Bloccare l’accesso o fare promesse di tecnologie avanzate non basta. Serve un approccio più equilibrato e collaborativo. Le piattaforme come Instagram devono essere obbligate a dare priorità alla sicurezza degli utenti, utilizzando davvero gli strumenti tecnologici a loro disposizione per proteggere i più vulnerabili, e controllando che lo facciano. Altrimenti, se c’è qualcuno che vuole mettere i dazi sulle nostre esportazioni, possiamo certamente mettere un muro digitale per proteggere i nostri Paesi europei. I governi, allo stesso tempo, devono elaborare politiche che tengano conto non solo delle necessità di tutela, ma anche delle opinioni e dei bisogni dei giovani. Un esempio ispiratore in questo senso viene da Parma, che ha vinto la nomina a Capitale Europea dei Giovani per il 2027 con il progetto “Parma, una grande piazza per l’Europa”. È fondamentale educare i ragazzi all’uso consapevole e sicuro dei social media, coinvolgendoli attivamente nella creazione di soluzioni, e investendo in infrastrutture per la socialità adatte alle nuove generazioni, come il progetto Materia di varesenews. Solo così possiamo sperare di costruire un mondo digitale più sicuro e inclusivo per tutti. È tempo di mettere al centro le persone, soprattutto i giovani, per affrontare insieme le sfide del futuro digitale.
“In questo mondo nuovo si chiede agli uomini di cercare soluzioni private a problemi di origine sociale, anziché soluzioni di origine sociale a problemi privati”, Zygmunt Bauman.
(foto Pixabay)
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