Giorgio Casale e i giorni della deportazione a Gusen, con i concittadini di Somma Lombardo
Fu catturato dai tedeschi a Milano e deportato per non aver giurato a Hitler. La sua storia è anche storia di legami con ragazzi che venivano da Somma e che vissero insieme la disumana prigionia: Casale morì nel sottocampo di Mauthausen a due mesi e mezzo della fine della guerra
Giorgio «nei momenti più bui cantava sempre per tenere alto il morale, suo e degli altri compagni. Faceva parte del suo carattere, cantava e recitava».
La signora Virginia, 98 anni, è oggi una delle poche persone in vita che ha conosciuto Giorgio Casale, sergente di cavalleria, cittadino di Somma Lombardo, morto nei lager tedeschi, come “schiavo di Hitler” privo di ogni diritto.
Casale è ricordato (insieme ad Angelo Luoni e Ugo Maspero) da una delle nuove pietre d’inciampo che vengono posate – in occasione del giorno della Memoria 2025 – a Somma Lombardo. Era uno dei seicentomila soldati italiani deportati in Germania e lì sottoposti a indicibili sofferenze, per essersi rifiutati di prestare giuramento alla Repubblica di Salò e a Hitler.
Fu uno dei morti nei lager, uno tra decine di migliaia di Imi destinati a non rivedere l’Italia.
Dentro a questa storia drammatica c’è anche una storia di legami tra compaesani, cittadini di Somma che tentarono di mantenere informate le loro famiglie: la storia di Giorgio Casale s’interseca così con quella di altri giovani sommesi che non si piegarono al Reich e ai collaborazionisti di Salò.
Nato nel 1921, Giorgio Casale «abitava in via Visconti a Somma, dove c’era il lanificio» ricorda oggi Giorgio Caletti, il nipote che porta lo stesso nome di battesimo di Casale e che si è impegnato perché fosse ricordato con una pietra d’inciampo (un invito raccolto dall’assessora alla cultura Donata Valenti e dall’amministrazione).
Casale veniva da una famiglia di discrete condizioni economiche: «Erano sei fratelli, mia mamma era sua sorella. Un altro fratello era prevosto, è stato a Domodossola e Stresa. Giorgio prima di essere deportato è riuscito a fare testamento».
Già sergente del Savoia Cavalleria, dopo l’armistizio dell’8 settembre «si nascondeva a Milano e nel 1944 è stato arrestato». Collaborava con la Resistenza: lo fermarono il 13 aprile al celebre Caffè Biffi e formalmente l’accusa era di “propaganda antifascista e trasmissione notizie a mezzo radio clandestina”.
I sommesi tra San Vittore, Fossoli e il lager in Germania
Finì a San Vittore per alcune settimane e poi l’11 maggio fu trasferito al campo di transito di Fossoli, in Emilia, anticamera della deportazione in Germania
La sua storia interseca qui anche altri ragazzi della zona: trova i sommesi Isaia Bianco e Bruno Colombo, arrestati il 3 marzo, e Diego Bongiovanni della vicina Vizzola Ticino. «Sto bene e non mi manca nulla, spero di potervi riabbracciare tutti fra non molto. Sono sempre allegro e non cruccio affatto per sorte», scriveva – probabilmente mentendo, per tranquillizzare quelli a casa – in un biglietto dal carcere.
Carlo Mossolani – destinato a perire nel lager – in un biglietto clandestino del 6 maggio avvisa la sua famiglia del trasferimento verso Fossoli e prega di informare anche quelle dei due compaesani Colombo e Bianco.
Da Fossoli li attende la Germania, il lager di Mauthausen. In una lettera del 16 luglio Mossolani informa: «Ormai qui siamo rimasti solo in due, io e Giorgio, perché anche Bruno non c’è più».
È la forza del legame tra compaesani, ma anche tra compagni di prigionia, che mai si erano conosciuti prima, ma che si ritrovarono a soffrire in questo inferno.
Isaia BiancoSchiavi di Hitler, a scavare gallerie nella roccia
Così il nome di Giorgio Casale compare nelle memorie del finanziere sardo Giovanni Gavino Tolis, che sarebbe morto a Gusen – Mauthausen il 28 dicembre 1944. Tolis e Casale erano finiti a Gusen II, a scavare nel granito le gallerie destinate all’industria militare tedesca. Un totale sette chilometri di tunnel larghi fino a 8 metri e alti fino a 15 metri, per ospitare la produzione dei missili V2, messi così al riparo dalle incursioni dei bombardieri alleati.
Le giornate di Gusen sono segnate da centinaia di morti e feriti, percosse e umiliazioni. A Carlo Mossolani gli aguzzini ruppero gli occhiali, costringendolo a muoversi a tentoni
Giorgio Casale morì il 3 febbraio 1945, “sulla fradicia paglia della baracca nemica“, come ricorda la lapide posata su un muretto nella via di Somma Lombardo che oggi porta il suo nome.
La morte per malattia «in mezzo a tanta crudeltà e brutalità» fu confermata alla famiglia da un altro compagno di prigionia, Ugo Cavallino, in una lettera del novembre 1945 alla madre.
Gli ultimi testimoni
«Quando tornerai in Italia, va’ da mia mamma e baciala per me» disse Giorgio all’amico Cavallino, che portò a Somma le sue parole.
Cavallino raccontò alla madre che anche nei momenti più duri cantava per sostenere tutti e dopo ogni canzone dedicava un pensiero alla sua mamma. È quel ricordo che – grazie alla solidarietà dentro al lager – è passato alla famiglia e che la cugina Virginia trasmette ancora oggi, a 98 anni di età.
I testimoni diretti sono ormai sempre di meno, anche a Somma sono rimasti pochissimi.
Come la signora Gisa, sorella di quell’Isaia Bianco che aveva condiviso la prigionia con Casale, Mossolani, Colombo.
Gisa era bambina quando vide il fratello portato via dai tedeschi, al chiaro di luna, lungo la discesa sotto casa. Non lo avrebbe mai più rivisto vivo. Ancora oggi conserva gelosamente nel portafogli una foto con la dedica affettuosa, quasi presagio nel giovane del suo destino.
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