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È tutto vero. Due giorni a Sarajevo

Una sorta di reportage in presa quasi diretta per raccontare l'immersione nella capitale bosniaca tra musei di guerra, locali tipici, stelle del calcio e del rock e soprattutto Rada, fondatrice della coop Insieme pensando al Librosolidale 2025

Sarajevo feb 2025

Poche volte nella mia vita ho vissuto un cortocircuito di connessioni così potente. È l’ultimo giorno di febbraio 2025, un venerdì. Il Papa è in crisi respiratoria. Poche ore fa il “nuovo” presidente degli Stati Uniti d’America, quasi ottantenne ma ancora biondo dorato, ha appena liquidato in mondo visione il capo di stato di un paese invaso nel mezzo dell’Europa e tuttora in guerra.

Sono in partenza per Sarajevo. Mi ha convinto Marco Giovannelli, direttore di Varese News e caro amico. Negli ultimi anni abbiamo intrecciato pensieri e progetti importanti. Uno di questi riguarda l’iniziativa del Librosolidale dell’associazione Xmas Project che ogni anno racconta e sostiene un progetto di solidarietà nel mondo. Il 2025 sarà un anniversario importante per questa associazione, compie un quarto di secolo. Marco insiste nel dedicare la prossima edizione a un piccolo progetto di cooperazione in Bosnia. Sempre quest’anno si celebrano infatti i trent’anni dalla fine della guerra dei Balcani: Sarajevo e la Bosnia sono stati teatro di alcune delle più efferate atrocità della storia recente. Un Librosolidale dedicato al tema della pace in un momento storico in cui ogni segnale sembra dimenticare questo ideale.

Viaggia con noi Neven Adzaip, giovane collaboratore di Marco e promotore di viaggi di turismo lento e di cammini. Neven è nato a Sarajevo. A due anni e mezzo riuscì a fuggire dalla sua città con la madre, prima raggiungendo la Serbia prendendo uno degli ultimi voli militari che sfollavano le famiglie dalla città assediata, poi approdando in Italia, grazie alle conoscenze italiane della madre. Il padre rimase in Bosnia per la durata della guerra, riuscì a sopravvivere e a raggiungerli due anni più tardi. Per lui, al suo arrivo in Italia, era uno sconosciuto. Neven ha ricevuto il passaporto italiano solo due anni fa, dopo trentatré anni trascorsi nel nostro paese.

Devo raggiungere l’aeroporto di Orio al Serio con lo shuttle che parte dalla Stazione Centrale. Durante il trasferimento, ho fissato una call molto delicata e a cui tengo particolarmente. Si collegheranno il giornalista, scrittore e viaggiatore Paolo Rumiz e il fotografo e instancabile camminatore e “cercatore di vie” Riccardo Carnovalini. Insieme a Piero De Vecchi, collega e produttore di video (e sogni), li abbiamo coinvolti in un laboratorio di comunicazione sul quale lavoriamo da oltre un anno: al centro del progetto vi è l’idea di documentare diversi dialoghi intergenerazionali tra classi di adolescenti italiani che stanno ultimando la scuola superiore e due esponenti “senior” della cultura italiana. Il risultato (sperato) sarà una serie di mini docufilm che riprendono il loro incontro e che ci permetteranno di ascoltare dubbi, paure e pensieri dei nostri ragazzi, parte imprescindibile per la costruzione del nostro futuro, accompagnati e condivisi da due veterani.

Parte la chiamata zoom e per rompere il ghiaccio racconto a Paolo che sto per partire per Sarajevo; so quanto per lui è stata importante quella regione del mondo. A lui dobbiamo alcuni dei reportage più illuminanti sulla storia dei Balcani e sull’Est Europa: tenete a mente il titolo del volume che raccoglie i suoi più importanti racconti sul tema: La Linea dei Mirtilli. È stupito dell’esistenza di un volo diretto per Sarajevo, quasi a sottolineare la quasi impossibilità di connettere in così poco tempo due mondi così distanti. Basta un’ora e un quarto oggi per raggiungere Sarajevo e se osservo la mappa, in nessun’altra direzione si raggiunge in così poco tempo un luogo così distante dalla mia Milano imbruttita. Distante in tutti i sensi. Paolo prova a solleticare alcuni dei temi sui cui dovrò fare attenzione: non è solo un luogo che ha sofferto di numerose guerre e tuttora di fragile stabilità, ma è luogo di influenze cha vanno dalla Turchia al dominio austro-ungarico, dal mondo latino a quello ebraico, attraverso una lunga storia socialismo sotto la guida di Josip Broz Tito.

Sarajevo feb 2025

L’ARRIVO A SARAJEVO

Sul volo mi addormento e quasi non mi accorgo che stiamo già atterrando. È buio e ci aspetta lo zio di Neven: sarà accompagnatore discreto per i seguenti due giorni. Piove, fa parecchio freddo e la città ci accoglie semivuota. Abbiamo fame e ci aspetta un ćevapčići, primo piatto irrinunciabile di Sarajevo. Piccole polpettine di carne macinata e speziata, raccolte in forme speciali di pane dette somun e servite con cipolla cruda. Dall’appartamento a due passi dal centro, raggiungiamo il locale Galatasaray dove ci sediamo su classici sgabelli turchi ricoperti di tappeti multicolore. Nel locale semivuoto, un tavolo di quattro ragazzi locali, il proprietario e un ragazzo brasiliano. L’accoglienza è calorosa, forza Italia, grande Italia, viva l’Italia, Inter, Milan e via discorrendo. Dopo aver snocciolato a memoria gran parte della formazione a catenaccio del mitico Herrera – Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi…. – ci racconta di essere stato un calciatore professionista, di aver militato nella nazionale jugoslava e di essere stato il primo del suo paese ad aver segnato al Maracanà, in un’amichevole contro il Flamengo. Sto ancora cercando di verificare la notizia ma già il fatto di averla raccontata, seppur inventata, mi appare come una scena mitica degna del miglior Kusturica, nato nel quartiere in cui ci troviamo. Paghiamo, poco, molto poco, e rigorosamente in Marco bosniaco, banconote in Euro e carta di credito… Ne hvala, no grazie!

Sarajevo feb 2025

Torniamo sul vialone principale, sempre più desolato, tira un vento gelido. Mi accorgo di calpestare la scritta “Sarajevo meeting of cultures” che, come una sliding door, ci trasporta da un suk turco a un vialone mitteleuropeo, in tre passi. A terra, sparse sulla pavimentazione, calpesto le rose di Sarajevo, fori sull’asfalto provocati dai proiettili di mortaio durante l’assedio di Sarajevo tra il 1992 e il 1995. La città ha deciso di mantenerne alcuni e, nel tempo, di riempirne le schegge di resina rossa, ricordando la forma di una rosa che sta perdendo i petali. Io sto invece perdendo l’orientamento, ho addosso una strana sensazione di essere stato catapultato in un posto che mi coglie impreparato e un po’ indifeso. Ci viene in aiuto la proposta di Neven che ci trascina al RajvoSa, uno storico pub della città dove ci attende lo zio e una buona grappa, poi due, poi tre… Marco si salva perché astemio, a me e Neven tocca tenere botta. Il posto è minuscolo e sotterraneo, coperto di ammennicoli di ogni genere: la colonna sonora è gentilmente offerta dalla band Zabranjeno Pusenje (Vietato Fumare), uno dei gruppi musicali più iconici, trasgressivi e influenti del panorama balcanico fin dagli anni 80. Mi ricordano gli Skiantos e le prime storie tese di Elio & Co.; sono assidui frequentatori del locale, nonché grandi amici del proprietario, il quale sta giocando a un continuo zippare tra le canzoni della band per cercare le sue apparizioni come attore nei video su YouTube. Orgoglio, malinconia, sorrisi. Alla quarta rakija, desistiamo e ci piombiamo nei letti.

Sarajevo feb 2025

LA GIORNATA DI SABATO

Sabato mattina 1° marzo è la festa nazionale di indipendenza in Bosnia (in bosniaco Dan nezavisnosti Bosne i Hercegovine) e viene ricordato il Referendum sull’indipendenza dalla Jugoslavia, nel 1992. Non lo sapevamo e troviamo tutto chiuso, musei compresi. Per nostra fortuna, è rimasta aperta l’esposizione permanente “Galleria 11/07/95” dedicata alle vittime del genocidio di Srebrenica e alla vita dei sopravvissuti.

L’esposizione, che ha come principale protagonista il lavoro fotografico di Tarik Samarah, è anche multimediale e mi fa vacillare. Sul muro lungo 16 metri si trovano i nomi e gli anni di nascita delle (fino a oggi) 8372 persone, tra cui tantissimi bambini, che ancora oggi vengono ritrovati in fosse comuni sparse per la regione. Ero a militare durante quei giorni, io inguaribile pacifista, a scontare l’anno obbligatorio di leva. E sorrido amaro, quasi infastidito, dalle mie giornate di inutilità mortale passate a passeggiare con fucile e il cappello d’alpino in marcia nel cortile di Aosta, mentre a pochi chilometri, accadeva un ennesimo olocausto.

Sarajevo feb 2025

Usciamo confusi e camminiamo senza parlare, diretti lungo il fiume Miljacka dove oggi è stato allestito un lungo percorso pedonale. Lo immagino in primavera tutto fiorito, o in estate, colmo di giovani e turisti, perché oggi è immerso in un grigio silenzio che ben però calza al mio umore. Sulle palazzine che si affacciano sulla riva, ancora i segni delle bombe, dei proiettili e delle granate. Sono passati trent’anni ma le ferite sono aperte, lo sento.

Facciamo pausa a un noto caffè dedicato a Tito, intriso di nostalgia per un’epoca passata, dove all’entrata campeggia uno striscione con la scritta “Mi smo titovi”, che tradotto significa “Noi Siamo Tito” ma che, nel parlare comune bosniaco, prende in significato di qualcosa tipo “noi siamo fantastici”…

È l’ultima tappa in centro città, prima di dirigerci, sempre a piedi, nei quartieri periferici dove ci attende l’appuntamento più importante di questo viaggio lampo a Sarajevo. Arriviamo a destinazione e Neven si rende conto esterrefatto di essere a una strada di distanza dalla casa nella quale è nato e ha vissuto con i suoi genitori i primi anni della sua vita. All’incrocio delle due vie, si fionda in una panetteria e ordina un po’ di pita, diversi tipi di torte salate, ripiene di verdure, formaggi o carne. Ha gli occhi che brillano, il sapore è quello di casa. Piacciono molto anche a noi, divoriamo i tre vassoi in alluminio nel quale abbiamo spezzettato le pietanze per condividerle. Degustiamo il tutto con un insolito yogurt molto liquido – mai pasteggiato con uno yogurt, eppure mi sembra davvero azzeccato!

Sarajevo feb 2025

L’INCONTRO CON RADA

All’ottavo piano di uno dei palazzi di fronte ci attende Rada Zarkovic, attivista e pacifista bosniaca aderente al movimento delle “Donne in Nero” e conoscenza di Marco. Nel 2013 ha fondato con dieci soci, in maggioranza donne, la Cooperativa “Insieme” nell’area del comune di Bratunac, vicino a Srebrenica, enclave a maggioranza musulmana in un territorio a prevalenza serbo ortodosso e per questo dichiarata area protetta dall’Onu.

Attraverso la coltivazione in fattorie di famiglia di piccoli frutti di bosco prima e alla loro trasformazione in marmellate e succhi di frutta poi, la cooperativa punta al lavoro agricolo come strumento terapeutico per riportare a casa le persone cacciate dalla guerra e colmare il solco profondo di odio e diffidenza tra chi è rimasto e chi è andato via. Le donne che lavorano nella cooperativa provengono da comunità ed etnie diverse, imparano a condividere usi e costumi lavorando insieme e superando le diversità, anche compartecipando alle storie dolorose che le accompagnano. La cooperativa oggi produce i “Frutti di Pace”, marmellate e succhi di frutta di ottima qualità, entrati anche in Italia nei circuiti della Coop, diventato partner commerciale.

A lei raccontiamo del Librosolidale e della nostra intenzione di dedicare la venticinquesima edizione del Xmas Project alla Bosnia, a questa cooperativa, alla pace.

Mentre sorseggiamo un bicchiere di succo di mirtilli – eccola qui, caro Rumiz, la sottile linea che continua… – Rada ci inonda di storie e sembra un’animale in gabbia. Ha vissuto anni e anni di proteste e manifestazioni di strada. Oggi, con un po’ di acciacchi, ci racconta commossa dell’attuale mobilitazione dei giovani studenti serbi che da mesi (quattro per la precisione e partita dal crollo di una tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad, nel quale sono morte 15 persone), protestano contro una dilagante corruzione del governo serbo guidato da Aleksandar Vučić.

È orgogliosa della maturità, dell’intelligenza e della organizzazione che i giovani serbi stanno mettendo in campo con costanza, e scalpita, vorrebbe essere lì con loro, a sostenere il loro slancio nello sfidare quello che si può ragionevolmente definire un altro “regime autoritario”. Mi chiedo perché io non ne sono nulla – ma alzi la mano chi tra voi ne sa qualcosa –, mi chiedo perché una storia così sui nostri media non è raccontata se non da pochissime testate, mentre l’Unione europea non solo ha rifiutato di sostenere o riconoscere queste proteste, ma ha continuato la sua politica di mantenimento di un’apparente stabilità nella regione, sostenendo ulteriormente il governo di Vučić.

Dopo due ore di chiacchierata, ringraziamo Rada, ci promettiamo di risentirci presto e di impegnarci nel provare a realizzare qualcosa insieme. Tornando in centro città, arriviamo tardi all’ingresso della famosa biblioteca di Sarajevo – primo edificio distrutto durante la guerra, nel quale andarono in cenere oltre un milione e cinquecentomila volumi – e ora sede del municipio. Una fotografia storica mi torna alla mente, nella quale il musicista Vedran Smailović suona sulle macerie della biblioteca, nel 1992. Ma invece di immaginarmi la melodia di questo ricordo, siamo interrotti dal passaggio assordante di una carovana di clacson, motociclette a motore accelerato e decine di grezzi fuoristrada che sfilano lungo il fiume, curvando proprio davanti all’edificio. È una parata che stona, fuori registro, si percepisce un senso di fanatismo che stride con una città così inestricabilmente intrisa di diversità. I giovanotti tatuati e corpulenti strombazzano e alzano i decibel, sventolando la vecchia bandiera nazionale adottata fino al 1998 e ispirata alla casata dei Kotromanic che regnò sulla Bosnia dal XIII al XV secolo. Lo zio di Neven storcerà il naso a cena quando chiederemo spiegazioni sui protagonisti della sfilata: l’orgoglio nazionalista serpeggia un po’ ovunque nel mondo attuale ma qui è come se facesse più paura, quasi a risvegliare fantasmi ancora troppo recenti.

Sarajevo feb 2025

È ora di cena, e che cena! Neven e lo zio ci portano sulle colline sopra la città, che ci fermiamo ad ammirare illuminata dall’alto… Sarajevo će biti, sve drugo će proći (Sarajevo rimarrà, tutto il resto passerà), una citazione di una famosa canzone del cantauore Đorđe Balašević e dal bosniaco Zlatan Fazlić Fazla all’inizio dell’assedio di Sarajevo, ci introduce in una elegante sala che troviamo però vuota, tutta per noi. La cosa non ci dispiace, ci sentiamo ospiti d’onore ma è semplicemente giorno di festa e le famiglie festeggiano in casa. Assaggiamo prima una gustosissima zuppa e poi la terza delizia bosniaca, il Bosanski Lonac (pentola bosniaca), uno stufato bosniaco a base di cavoli e carne cotto a fuoco lento, arricchito con patate, verze, aglio e pomodori. Il tutto anticipato da una grappa che, mi dicono, apre lo stomaco e mette appetito. Chiudiamo la giornata con una breve camminata per smaltire l’abbondanza delle portate. Attraversiamo il quartiere principale dove passiamo, nel giro di poche centinaia di metri, davanti a due moschee, due sinagoghe, una cattedrale cattolica e una ortodossa. Eppure, ho la sensazione che qui dio si sia un po’ distratto.

Sarajevo feb 2025

DOMENICA E IL MUSEO DELL’INFANZIA IN GUERRA

La mattina ci accoglie con uno spiraglio di luce migliore. Le colline sono innevate e il paesaggio è più dolce. Abbiamo ancora una mattinata a disposizione; la dedichiamo al Museo dell’Infanzia di Guerra (War Childhood Museum), un museo inaugurato nel 2017 a Sarajevo per raccontare le esperienze dei bambini che sono cresciuti durante la guerra in Bosnia ma che oggi, grazie a un costante aggiornamento, accoglie pensieri, oggetti e contributi provenienti da altre parti del mondo, come Gaza o Kiev… un’esperienza di resilienza che consiglio a tutti, organizzata e concepita in modo davvero coinvolgente.

Anche qui, usciamo tutti e tre abbastanza provati. Per fortuna sembra sbucare un raggio di sole a scaldarci il cuore. Decidiamo di sfruttare una luce migliore salendo su una delle terrazze più alte della città per ammirarla dall’alto, questa Sarajevo, improvvisamente piombata nella nostra vita. Mentre bevo un tè, ricevo un messaggio Whatsapp di Marco che è proprio seduto davanti a me con la sua limonata: “Sarajevo ci ha accolto con sospetto, con il freddo umido, ma poi ci ha regalato momenti di grande valore”. E nel messaggio condivide anche un articolo del cantautore Vinicio Capossela pubblicato sull’ultimo numero della rivista Internazionale, che ci spinge, “per attivare un antidoto alla rassegnazione dei tempi”, di riabilitare “un neologismo dantesco meraviglioso e rivoluzionario: immegliarsi. Rendersi migliori”. Marco non sa, come ennesimo cortocircuito di questo breve viaggio, che Vinicio, oltre a essere un musicante da me molto apprezzato, è mio vicino di casa, vive proprio di fronte al mio palazzo. Troverò il modo per offrirgli un caffè e dirgli grazie, come ringrazio ora i miei due compagni di strada: immegliamoci insieme!

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Pubblicato il 04 Marzo 2025
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