L’addio a Maurizio Lovato: “Ci ha insegnato a non dire mai Ormai”
Tantissimi amici e colleghi nella minuscola chiesetta di Orago e sul piazzale esterno, per salutare per l'ultima volta Lovato. "Il tuo entusiasmo ha lasciato un'impronta in tutti noi"
A volte si ha una famiglia più grande di quanto si crede. Forse Maurizio Lovato lo sapeva, che la sua famiglia era così grande: si è raccolta per salutarlo per l’ultima volta nella piccola chiesa di Orago e sul piazzale esterno. Erano tantissimi soprattutto i colleghi di lavoro, una piccola comunità cresciuta negli anni proprio sotto la sua “regia” appassionata e attenta.
Un saluto affettuoso e umanissimo. Don Marco Usuelli, che ha celebrato le esequie, è partito dal brano della Passione per parlare al dolore della famiglia ma subito dopo ha anche ricordato l’uomo che ha incrociato sulla sua strada: «Ho conosciuto Maurizio quando ero a Belforte, là dove c’è l’Iper. L’ho scoperto nel suo giocare a pallone: prenotava insieme ai colleghi, verso l’una ogni tanto veniva lì con i colleghi a giocare». «La capacità di far squadra con le persone con cui lavori non è di tutti, ma lui era così: entusiasta, sempre dinamico. Ha lottato come un gigante, come ha sempre fatto nella vita. E non ha mai detto la parolaccia più brutta: ormai. Ci ha insegnato a non dire mai ormai. Ha onorato fino in fondo la vita».
E intenso è stato anche il saluto dei colleghi, tantissimi, assiepati fin sulla scalinata fuori, affacciata sulla valletta operosa e trafficata sottostante: una comunità cresciuta negli anni, intorno a un luogo che sembra di nessuno (un centro commerciale) e invece è fatto di passione, legami. Fin dai primi passi nel 1988, dall’Iper di Rozzano, ai «Milan-Juve che abbiano visto insieme», dagli scherzi in magazzino alle partite del Varese, ricordati da uno dei colleghi d’antica data divenuto amico. «Avevi fame di vita Maurizio, hai lasciato una impronta in tutti noi».
Alla fine della celebrazione l’hanno salutato anche i figli Giulia e Mattia: «Sei e sarai sempre il nostro più grande esempio di vita. Sei diventato nostro amico». Hanno scelto di salutarlo con Viva La Vida, la canzone dei Coldplay che amavano sentire insieme, risuonata nella minuscola navata della chiesa di Orago, mentre fuori il tiepido sole litigava con il vento che tirava verso la Valdarno. “I hear Jerusalem bells are ringing / Roman Cavalry choirs are singing /Be my mirror, my sword and shield/My missionaries in a foreign field” (Le campane di Gerusalemme sento suonare, odo cantare i cori della Cavalleria Romana: siate il mio specchio, mia spada e scudo, i miei missionari in terra straniera).
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