“Alle donne maltrattate non si può offrire un servizio al risparmio”
Giovanna Scienza, presidente della Fondazione Morandi, critica il sistema di finanziamento alla protezione delle vittime di violenza: "Non basta l'accoglienza occorre una vera rete di protezione"
Giovanna Scienza è un medico di medicina generale. Ma è anche la presidente della Fondazione Felicità Morandi. È nella rete per la protezione delle donne maltrattate ma si occupa anche di sindacato dei medici ed è in prima linea nell’applicazione della Riforma della sanità lombarda per la cura dei malati cronici.
È sempre in movimento: « Purtroppo le necessità delle persone, soprattutto quelle fragili, corrono più veloci delle leggi. Il sistema legislativo è sacrosanto ma i suoi tempi tecnici non sono funzionali al supporto di chi ha bisogno».
Nella sua mente si affollano decine di casi dove la necessità di agire ha ritmi completamente diversi da quelli istituzionali: « Con la Fondazione Morandi abbiamo avviato una sperimentazione. Sono sei anni che siamo in fase sperimentale: è possibile arrivare a confermare, negare, rivedere questa modalità? Si è sempre precari. Ritengo che l’esperienza maturata sino a oggi abbia numeri e caratteristiche per essere valutata. Lati positivi, negativi, criticità e soluzioni per avviare, in modo istituzionale, un sistema di cui c’è grande bisogno».
Il suo discorso è legato alla “casa rifugio”, un punto di riferimento per autorità giudiziaria ed enti locali quando occorre intervenire tempestivamente. Lo scorso anno, la casa rifugio è sempre stata piena a eccezione di una decina di giorni: « A fronte di questa grande domanda – commenta la dottoressa Scienza – si pensa, invece, a rivedere al ribasso i contributi. Siamo passati da 60 a 40 euro al giorno a ospite e solo se c’è reale richiesta».
La cifra va commisurata alla qualità del servizio: « Nella nostra casa famiglia entra solo personale qualificato e preparato – precisa la presidente della Fondazione – Non possiamo permettere che donne in situazioni di grave difficoltà siano gestite in modo inadeguato. Per mantenere lo standard, però, ho dei costi fissi, che esistono anche se non riempio la casa rifugio, anche se i letti mi rimangono momentaneamente vuoti. Non sto chiedendo sconti perché lavoro nel sociale, solo una corretta valutazione del livello dei servizi. Il mio personale è qualificato e va retribuito come è giusto. Poi si sommano i costi di vitto e alloggio: tutto per 40 euro?».
Giovanna Scienza è impegnata in tutto il territorio provinciale anche se la rete è spesso locale e assume caratteristiche differenti a seconda dell’ente pubblico capofila: « Ogni realtà ha il suo progetto che chiama con un nome diverso e ha caratteristiche differenti. Non esiste un’unicità di procedure o modelli di intervento. Attualmente, i progetti sono finanziati sino al 31 dicembre e poi verranno rivalutati all’interno della programmazione 2020/2023. Saranno sempre i comuni a farsi capofila di reti per chiedere i fondi. Ma questi stanziamenti regionali arrivano un po’ a “pioggia” , senza una valutazione su qualità e merito di intervento. Per le case rifugio, per esempio, è sufficiente che diano “accoglienza”. Ma davvero a una donna maltrattata, a suo figlio che spesso è ulteriore vittima, possiamo davvero dare solo un tetto e un pasto caldo? Oggi ci sono anche troppe case rifugio, aperte con un servizio essenziale. La nostra comunità protetta è a elevata sicurezza, è segreta, il personale è presente giorno e notte, a disposizione delle ospiti e dei loro figli. Educatori, psicologi e avvocati, anche se l’assistenza legale è a carico dei centri antiviolenza. Forniamo loro trasporti quando devono fare una visita: il personale che entra in contatto con le ospiti è remunerato. Noi non concepiamo l’idea di sfruttare il volontariato per fare un’opera così delicata e importante. La buona volontà non può bastare in casi così complessi. E noi non possiamo correre il rischio di mettere in difficoltà la nostra ospite».
In questo modo, Giovanna Scienza, ogni anno, deve assicurarsi ingressi extra, tra donazioni e progetti, per circa 80.000 euro: « I fondi regionali ci sono. Vengono distribuiti ma, spesso, non riusciamo a spenderli perché la rendicontazione, che è doverosa, non è coerente con ciò che occorre fare. La nostra richiesta è di pensare a standard definiti per la gestione delle case rifugio : i progetti “isorisorse” sono possibili basta mettere nero su bianco le esperienze che già si fanno e strutturare il servizio».
Lo scorso anno, la casa ha seguito 55 ospiti, tra donne e bambini che componevano 23 nuclei. La permanenza media è di un mese anche se capita che si prolunghi. Ci sono poi le disponibilità di “pronto intervento” per casi urgentissimi che si risolvono in 3 giorni: « C’è molto clamore sulla violenza a donne e bambini, ma le risposte che vengono date devono essere uniformate e risolvere veramente i danni anche psicologici che si portano dietro. Nei giorni dell’accoglienza la donna deve poter contare davvero su un sostegno che la porterà ad affrontare la vicenda giudiziaria. Abbandonarla in questa fase vorrà dire vederla violentare una seconda volta in sede di processo».
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