Gallarate, una città sui binari del futuro
Dai trasporti intermodali alla rigenerazione (non sempre facile) di pezzi di città che stanno intorno alle stazioni, il secondo giorno di Territori in tour è partito dal ruolo della città lungo le ferrovia. Sempre in trasformazione
Punto problematico ma anche luogo di passaggio e di occasioni, la stazione di Gallarate è il punto di partenza della seconda giornata di Territori in tour a Gallarate. Una città cresciuta lungo la ferrovia, anzi le ferrovie, visto che qui si diramano ben tre linee diverse: fabbriche e opifici di ieri, che oggi hanno una nuova funzione o ancora attendono una rinascita.
Oggi Gallarate è snodo centrale per i trasporti, «un posto ideale, perché ci permette di scegliere tra la linea del Sempione e quella del Gottardo», spiega Livio Ambrogio, patron dell’omonima impresa Ambrogio Trasporti intermodali, nata vicino a Torino ma oggi con la “testa” in fondo a viale Milano, al confine con Busto Arsizio. Hanno scelto Gallarate quando la Svizzera aprì il suo spazio all’intermodale, quaranta e passa anni fa, e oggi nel loro scalo fanno partire tre treni al giorno e ne ricevono altrettanti (ogni treno, 600 metri di lunghezza: poco più in là, a Busto, fa lo stesso anche la Hupac).
Ambrogio occupa direttamente una sessantina di persone, ha 320 carri ferroviari, lavora con centinaia di autotrasportatori che portano qui container da tutto il Nord Italia. Livio Ambrogio racconta anche le difficoltà di ampliamento della attività logistica, stretta tra due vincoli quasi opposti: da un lato le limitazioni imposte dall’adesione di Gallarate al Parco del Ticino, dall’altro però anche una espansione della città su viale Milano che ha dato spazio ai centri commerciali. «Ma per noi il terreno lungo la ferrovia ha un grande valore: dobbiamo stare lungo i binari, mentre un centro commerciale poteva stare ovunque».
A Nord dello scalo – tornando verso il centro di Gallarate – si estende una lunga fascia di spazi dismessi: il “casermone” ex Aeronautica (non più in attività da quattro anni, il Comune vorrebbe acquisirlo in parte) ma anche le ex Officine Fs,«30mila metri quadri problematici», come ricordava al primo giorno il sindaco Andrea Cassani. Dismesse dal 1997-98, sono ancora in attesa che il gruppo Fs le “valorizzi”, vale a dire che dia la possibilità di ripensarle con nuova funzione. È un problema diffuso in tutta Italia, quello degli spazi ex ferroviari in abbandono da anni: i capannoni oggi si presentano spettrali, come nelle immagini di apertura del video, girate grazie ad un’associazione di soft air che – da settembre – le useranno come “campo da gioco”, garantendo così un minimo di presidio e cura degli spazi (da alcuni mesi stanno lavorando alla messa in sicurezza).
Risalendo ancora si arriva al quartiere di Sciarè: qui le vecchie fabbriche sono un mosaico di piccole attività industriali e artigianali, ma anche di spazi recuperati per abitazione (e non pochi AirBnB). E non solo: una vecchia fabbrica si è trasformata in B-Smart Center, nato nel 2014 come spazio di coworking e business center. «Su dieci persone che ci contattano, nove lo fanno sul nome del coworking. Ma poi nei fatti, il coworking è una modalità vista con molta diffidenza, viene fuori anche un certo provincialismo, se volete».
Nei fatti, nell’arco di un lustro si è rinunciato allo spazio condiviso e ha prevalso il modello invece del business center puro, dove ogni azienda ha un suo spazio (senza rinunciare comunque a qualche momento di condivisione e formazione comune). Le aziende oggi fanno «medicale, e-commerce, consulenze», ma sono anche aziende estere che hanno qui la loro rappresentanza in Italia. Essere a tre minuti dalla ferrovia conta? «Non è secondario il fatto che siamo vicini alla stazione, a collegamenti alternativi di mobilità, soprattutto le aziende straniere ce l’hanno nel Dna. Anche in riferimento alla grande città di Milano».
Siamo tornati anche nel centro della città, nelle vie del borgo storico che abbiamo percorso soprattutto nella prima giornata di tour. Via San Giovanni Bosco è una strada che è stata talvolta dipinta come problematica (per la presenza di gruppi di adolescenti “vivaci”) ma è anche una via vivace. Ha aperto qui per esempio il primo beer shop della città, Barley House, dove abbiamo incontrato di nuovo una tendenza degli anni recenti (l’abbiamo incontrata nella settimana di Varese, la incroceremo ancora).
Infine, ancora una tappa nella Gallarate della manifattura, con GiEmmePi, azienda artigiana che produce macchine termoadesivatrici, usate nel tessile e nell’automotive. Se la giornata era iniziata ad Ambrogio Trasporti, che muove materie prime e prodotti finiti, qui siamo in un’azienda (di piccole dimensioni) che lavora “all’inizio” della filiera, fornendo le macchine.
«Il 2018 è stato il nostro anno record», raccontano Massimiliano, Sabrina e Fabio Provasoli, fratelli, seconda generazione dell’impresa. Negli ultimi anni è cresciuto il peso dell’export («ma si lavora tanto anche con l’Italia, anche se molti si stupiscono»), GiEmmePi ha portato “in casa” la parte di carpenteria metallica assumendo una persona e rendendo più flessibile la produzione, ha abbracciato la rivoluzione della “Industria 4.0”. «Anche se è ancora una realtà poco acquisita dai clienti», che non sempre colgono le potenzialità (e il valore dei superammortamenti sostenuti dallo Stato). Raccontano anche che la concorrenza sulle grandi macchine è forte e richiede comunque di stare sul mercato, ma che contemporaneamente sono gli unici in Italia a fare piccole macchine, adatte a imprese più piccole e “snobbate” da altri concorrenti.
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