Villa Montevecchio come monito sull’importanza della memoria della Shoah
L'inaugurazione della mostra "Una storia da non dimenticare" è prevista per lunedì 27 gennaio (Giornata della Memoria), ma i cittadini potranno accedervi fino a metà febbraio
A Samarate, in villa Montevecchio, sta per essere ultimato l’allestimento della mostra fotografica “Una storia da non dimenticare“, sulla tragedia dell’Olocausto, in occasione della Giornata della Memoria.
L’esposizione è stata organizzata dalla Fondazione Montevecchio e dal comune insieme all’associazione “Italo Portalupi”. «Si tratta della prima volta – spiega Eliseo Sanfelice, presidente della fondazione – che la fondazione ed il comune lavorano in sinergia servendosi della Villa Montevecchio: era un po’ l’obiettivo della coalizione del sindaco Puricelli durante la campagna elettorale».
La mostra nasce non solo in occasione della Giornata della Memoria, ma anche perché «in Europa è stato registrato recentemente un aumento dell’avversione e dell’intolleranza nei confronti del popolo ebraico». Infatti, proprio per questo motivo, rimarrà aperta al pubblico fino a metà febbraio.
Le fotografie sono state tratte dal sito israeliano Yadvashem: a guerra conclusa, vennero raccolte tutte le fotografie dei campi di prigionia e mandate alle varie ambasciate ebraiche affinché i sopravvissuti potessero scoprire se alcuni dei loro conoscenti o degli amici fossero morti. Ora tutte quelle testimonianze fotografiche sono state digitalizzate e si possono vedere sul sito.
«Altre foto (quelle dell’arrivo dei detenuti), invece, sono opera di un soldato tedesco che non operava all’interno del campo, perché non ha mai fotografato oltre i cancelli del campo». Poi – continua a raccontare Portalupi – le fotografie del soldato sconosciuto sono state trovate da un ex prigioniero, che aveva riconosciuto tra le prigioniere una famigliare. «Dopo circa un decennio ha donato le fotografie alle varie ambasciate».
La mostra è costituita da tredici quadri sui campi di concentramento nazisti, più quattro pannelli all’esterno della villa per indurre nei passanti – come già con il muro di bambole, durante la Giornata contro la violenza sulle donne – una riflessione autonoma. L’esposizione vera e propria, invece, inizia all’ingresso. Il primo lotto di quadri è incentrato sull’arrivo dei futuri prigionieri ai campi: «Qualcosa, in queste foto lascia turbato chi guarda: nei loro volti c’è una disponibilità; c’è la speranza, seppur di una vita grama, di vivere. Nessuno di loro si aspetta che lì, all’arrivo di quella stazione, troverà la morte», commenta Luigino Portalupi.
L’interno del campo, invece, viene mostrato nel secondo gruppo di fotografie. Nella stanza interna, invece, sono appese le foto più cruente e crude dell’inferno di Auschwitz. «C’è anche l’unica foto – in posa – conservata che testimonia l’utilizzo dei forni crematori all’interno del lager di Auschwitz», dice Portalupi.
L’ultima foto del percorso è emblematica, oltre che un ammonimento per i tempi presenti: «Sono ritratti dei soldati delle SS e delle ragazze in un momento di spensieratezza: la foto è scattata due mesi esatti prima dell’arrivo dell’Armata Rossa in Polonia». Quei sorrisi e quell’allegria «a cinquanta metri dall’inferno che vivevano nel lager». «L’abbiamo scelta per un motivo preciso: l’essere umano è in grado di vivere questi momenti di tragedia e sofferenza altrui in piena tranquillità, come se vivesse in uno stato di schizofrenia», concludono Portalupi e Sanfelice, «vogliamo far capire ai cittadini che non si può vivere in questa ipocrisia».
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