Dopo le consegne durante il lockdown, arrivano i licenziamenti. “Sda non può lavarsene le mani”
Sciopero dei lavoratori al polo logistico vicino a Malpensa: la cooperativa che gestisce i magazzini ha licenziato due di loro. "Azione punitiva per le rivendicazioni"
Hanno lavorato in pieno periodo di lockdown, hanno chiesto tutele e ora arrivano i licenziamenti. Succede al magazzino della Sda di Lonate Pozzolo, dove i lavoratori sono scesi in sciopero martedì 16 giugno 2020.
Sono dipendendi (o meglio: soci lavoratori) di una cooperativa del consorzio Ucsa, che fornisce manodopera appunto per la Sda.
«Nell’hub internazionale di Lonate – spiega il lavoratore Sy Abou – il consorzio cooperativo Ucsa sta sfruttando l’emergenza Covid-19 e la cassa integrazione, oltre a non aver mai provveduto alla sicurezza dei lavoratori fornendo loro mascherine o attuando misure per garantire il distanziamento sociale». L’azienda, infatti, il 7 aprile ha attivato la cassa integrazione retroattiva: «L’azienda non ha anticipato i soldi con la cassa integrazione, che l’Inps avrebbe restituito. Alcuni operai erano stati a casa in ferie perché, avendo in famiglia bambini o parenti anziani, non potevano permettersi di rischiare di prendere il Covid-19 lavorando senza le dovute protezioni». Ferie che, però, non sono state pagate come tali: «Anche queste sono state pagate come cassa integrazione».
Nel piazzale del magazzino, sotto un sole feroce, si aggirano in molti con la maglia Sda, usata anche da chi è in carico alla cooperativa. «La cooperativa a è andata a prendere tutti i periodi di malattia sostituendoli con la cassa», racconta Fabio Zerbini, coordinatore del Sindacato Operai in Lotta Cobas (sigla che ha qui diciassette iscritti e che è radicata soprattutto nel mondo della logistica). «Una nostra collega, ad esempio, era ricoverata in ospedale per un ematoma e la sua malattia è stata trasformata in cassa integrazione: in un mese ha ricevuto uno stipendio di 160 euro, nella busta paga di quello dopo ce n’erano 8o».
Gli scioperanti definiscono la turnazione degli scorsi mesi illegale: «In bacheca – continuano Zerbini e Abou – comparivano orari dell’inizio del turno ma non la fine, era anomalo. Il lavoro c’era secondo i ritmi del tutto arbitrari dell’azienda: andavamo a lavorare e magari dopo quattro o cinque ore ci veniva detto di tornare a casa». I soldi della cassa integrazione, comunque, non sono arrivati.
La causa scatenante è stata il licenziamento «politico e discriminatorio» di due delegati sindacali: «Sei lavoratori sono stati messi in sospensione cautelare. L’azienda ha detto loro che avrebbero ottenuto nuovamente il loro posto se fossero usciti dal sindacato, facendo un atto di sottomissione. Quattro di loro, lavoratrici con bambini piccoli, lo hanno fatto; i due che non lo hanno fatto sono stati licenziati». Il gesto, come sostiene Zerbini, è un licenziamento politico e discriminatorio: «I due delegati hanno difeso gli altri colleghi che hanno subito dei soprusi in questi mesi e sono stati licenziati».
La motivazione ufficiale dei due licenziamenti è il mantenimento del telefono privato in tasca, che però i manifestanti ritengono un semplice pretesto. La ragione vera, ribadiscono, sono le rivendicazioni, lo ripetono (nel video che apre l’articolo) anche i due operai che dicono di aver pagato di persona per il loro impegno.
GLI OBIETTIVI
La prima questione è chiamare in causa l’appaltatore del lavoro, quindi Sda. «Sda non può fare come Ponzio Pilato e lavarsi le mani senza prendersi le responsabilità di ciò che succede in magazzino (dove la cooperativa fornisce manodopera). Sda deve intervenire, perché in questi mesi non ha fatto assolutamente nulla per tutelarci».
Gli obiettivi dello sciopero sono: il recupero immediato di tutte le quote arretrate sulla base dei conteggi «già inoltrati dal sindacato», la reintegrazione immediata dei due delegati licenziati e «l’apertura di una trattativa sindacale in vista dell’apertura di una vertenza nazionale e di uno stato d’agitazione permanente, con pieno mandato alle Rsa di magazzino per definire e articolare le forme della lotta necessaria a raggiungere i nostri obiettivi. Noi chiediamo diritti e rispetto, sicurezza e tranquillità».
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