Modiano, Malpensa e la Milano del Post Covid
L'ex presidente di Sea Pietro Modiano, in una lunga intervista a Gli Stati Generali, riflette sui cambiamenti in periodo di epidemia. E sul ruolo (ridimensionato?) di Milano
Il giornale online Gli Stati Generali pubblica una lunga intervista all’ex presidente di Sea Pietro Modiano, ex presidente di Sea, la società che gestisce Linate e Malpensa.
Dietro al titolo un po’ provocatorio (“Se l’epidemia fosse partita a Napoli avremmo voluto l’esercito sul Po”), l’intervista è un interessante sguardo – di un esponente della grande borghesia meneghina – sull’epidemia Covid-19 in Italia e nel mondo, sui cambiamenti puntuali che ha generato, su quelli sistemici che forse non genererà mai.
Uno dei nodi su cui ci si interroga è anche il ruolo di Milano, che da città trainante (e trionfante su una Roma in crisi) si è scoperta punto debole, come avvenuto anche per altri “vincenti” di questa fase. L’analisi di Modiano attinge anche dalla sua esperienza tra Milano Malpensa e Milano Linate.
Milano. Torniamo a casa, parliamo di noi. Siamo la capitale italiana della finanza, ci sentivamo una piccola Londra, tanto da fondere le due borse. Siamo capitale della moda e del design. Non abbiamo mai smesso di puntare sull’edilizia. Tra una cosa e l’altra abbiamo fatto un grande evento, e rafforzato enormemente il nostro appeal di place to be. E adesso? Adesso cambia tutto? Come si fa a reggere questo cambiamento?
Per anni ho presieduto la Sea, e ho vissuto gli anni della crescita, ripidissima, di Milano. Eppure, anche allora, non mi sfuggiva, non poteva sfuggirmi, la dimensione comunque di “seconda città”. Vista da un aeroporto la questione era chiara. Non era un hub, non poteva diventare un hub…
Questo però non dipende da Milano. Le decisioni centrali, sul punto, le prende la politica nazionale, che decide…
Probabilmente. Il mio dovere era lavorare perchè ce ne fossero due. (sorride). Torniamo al punto. Milano deve riconoscere la sua dimensione, e ricordarsi gli ampi margini di miglioramento anche nella scala delle seconde città di un paese. Anche perchè, al di là delle autocelebrazioni, spesso per sentirsi piccoli, da milanesi, basta andare a Dusseldorf, non serve andare a Londra o Parigi, per vedere un altro livello di vivibilità. Credo che sia una chiave su cui ragionare.
Milano ha avuto la tentazione e la dannazione per cui ha vissuto anni in cui essere la miglior città d’Italia non è stato difficile. Come finisce sta storia?
Certo, abbiamo attraversato i peggiori anni di Roma. Eppure, anche guardando gli aeroporti, anche Fiumicino era un bel modello da seguire. Era ed è sicuramente più centrale e importante dei nostri aeroporti. Come finisce? Chissà. Dovremmo capire da dove ricomincia. Il rischio è che ricominci dagli aperitivi, dalla vita di prima, senza problematizzare nulla
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