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A Malpensa e nei cieli va sempre peggio (anche senza Dpcm)

In aeroporto e intorno la crisi tocca migliaia di persone: qui si capisce che l’emergenza tocca tutto il continente e il mondo, anche se ora si aggiunge il nuovo blocco italiano. Sindacati e aziende chiedono protezione a lungo termine

gallarate generico

Alle 21.50 di martedì sera un volo WizzAir vira stretto sui cieli tra Malpensa e Gallarate: sembra il rombo di un cargo, invece è solo un Airbus diretto a Catania. Ci stiamo riabituando al silenzio del lockdown, anche nei cieli.

Di quattro passeggeri ne è rimasto uno. E di quattro operai o impiegati, ce n’è al lavoro solo uno, gli altri sono a casa, in cassa integrazione. Si potrebbe riassumere con questi soli due dati, lo scenario fosco che l’aeroporto di Milano Malpensa si trova a fronteggiare, dentro alla crisi peggiore che l’aviazione commerciale si sia trovata ad affrontare nella sua storia. «Peggio dell’11 settembre», diceva a fine inverno un sindacalista di lungo corso. Ma oggi – a seconda ondata iniziata in pieno – sappiamo che è molto peggio.

Sull’Europa si vola sempre meno, di qua e di là dell’Atlantico non parliamone, verso l’Asia rimane qualcosa, ma poco. C’è stata un po’ di competizione tra le low cost, ma è una battaglia “tattica”: chi ha più soldi in cassa cerca di mettere in difficoltà chi invece deve fare i conti con perdite paurose (al punto da vendere e riaffittare gli aerei, per ridurre gli esborsi a breve termine).

Con la seconda ondata ci sono altre nuvole nere all’orizzonte, più nere di quelle dell’eruzione dell’Eyjafjallajökull, il vulcano islandese che causò una breve “era glaciale” per l’aviazione europea. Allora i voli ripresero non appena i venti spazzarono via la cenere, qui invece dalle ceneri del 2020 si farà fatica a ripartire: «Ripartirà il turismo ma temiamo che la parte business, anche finita la emergenza pandemica, non tornerà ai numeri di prima, non a breve» dice Luigi Liguori, coordinatore del Settore Aereo della Filt-Cgil.

La flessione d’ottobre – con molti Paesi europei che già avevano varato misure drastiche – è  già pesante e ha fatto dimenticare in fretta l’effimera ripartenza estiva. «Ad agosto siamo arrivati al -55% rispetto ai numeri del 2019», dice ancora Liguori. Settembre ha già visto un crollo e su ottobre l’amministratore delegato di Sea, Armando Brunini, ha fatto una valutazione già pesante due settimane fa: -75%, ma forse le ulteriori riduzioni a livello internazionale fanno andare oltre. «Oggi siamo al -75% di voli, ma sul numero di passeggeri è ancora più basso, posso spingermi al -85%» dice Liguori della Cgil.

Malpensa agosto 2020

Con l’inizio di novembre arriva una nuova stretta: Klm (tra le prime a tornare a Malpensa) riduce da tre a due i voli Milano-Amsterdam, mentre dal 5 novembre British Airways se ne va da Malpensa e concentra a Linate i pochi voli (volava su London Heathrow, rimane Easyjet su Luton). E Lufthansa chiude anche la sua lounge.
Le low cost fin qui sono rimaste attive almeno sul piano dei voli domestici (le tratte nazionali), faranno i conti ora anche con le misure del nuovo Dpcm, che riduce gli spostamenti: si attendono altre cancellazioni, di certo non c’è più neppure da pensare a quella minima forma di concorrenza che si vedeva fino a fine estate.

La flessione del lavoro in aeroporto è stata gestita dall’attivazione della cassa integrazione e in parte anche dalle spalle larghe del gestore (che ha congelato una parte d’investimenti già previsti). «Questa fase è stata largamente protetta dagli accordi fatti a marzo, con Cassa straordinaria, non Covid» continua Liguori della Filt-Cgil. 

Partiamo dall’handling, l’insieme di tutti quei servizi che vanno dall’imbarco fino all’assistenza in pista alla compagnia. Il principale operator è Airport Handling, l’ex Sea Handling oggi controllata dal gruppo arabo Dnata.  «Abbiamo oggi un 75% di riduzione, rispetto al 50% visto in estate» dice Raffaele Dell’Erba della UilTrasporti. «La riduzione dei volumi di traffico rispetto ad agosto si traduce in minor lavoro e maggior uso della cassa integrazione: se in estate si arrivava a lavorare un giorno ogni due, oggi è un giorno ogni quattro», sintetizza. Le stesse percentuali più o meno si ritrovano su altri operatori handling, come Aviapartner e Ags. 

Protesta Airport Handling Malpensa
Lo sciopero-presidio dei dipendenti di Airport Handling

Se fin qui si parlava dell’impatto della cassa integrazione, in più su Airport Handling si sta giocando un’altra partita: la società ha perso due appalti (Neos a Malpensa e Alitalia a Linate) e questo ha portato ad un aumento della tensione, con diversi scioperi, presìdi e manifestazioni nell’arco dell’ultimo mese per contrastare il passaggio di lavoratori che comporti perdita di diritti e tutele. «Noi su questo ribadiamo l’importanza di una clausola sociale di sito. Da tempo chiediamo l’intervento di Enac su questo, per stabilire regole comuni».

L’handling regge ancora, ma altri segmenti sono ancora più in crisi. Il crollo dei voli intercontinentali (ma non solo) ad esempio ha minato il segmento del catering, la preparazione dei pasti per gli aerei che si fa fuori dall’aeroporto: qui si arriverebbe a punte di cassa integrazione al 90%. Poi c’è il segmento delle pulizie: sia i sindacati di base che quelli confederali temono l’arrivo dei licenziamenti. Qui non pesa solo la riduzione dei voli e dei passeggeri ma anche la riduzione fisica degli spazi: da quattro mesi il Terminal 2 è completamente chiuso e le prospettive sono di un blocco di lungo termine. «Il Terminal 2 oggi è la grande incognita, se la situazione si prolungasse non per qualche mese per anni sarebbe esplosivo» dice Livio Muratore, della Filcams-Cgil, che insieme alle altre sigle ha lanciato una prima manifestazione a metà ottobre.

presidio Commercio Malpensa
Protesta degli addetti alle pulizie

Una parte delle ore di lavoro dei servizi di pulizia sono evaporate perché i concessionari di spazi commerciali dentro al Terminal 1 hanno iniziato a fare ricorso alla “autoproduzione”, cioè senza rivolgersi all’esterno. Del resto anche qui c’è stato un crollo, prevedibile: «La Dufrital (principale operatore duty-free) oggi ha il 25% ore lavorate, il resto è coperto dalla Cassa Covid», continua Muratore della Cgil, che si occupa del settore del commercio e servizi. «Nel caso del lusso si arriva ad un -90% fatturato». Il lusso si basa sul turismo e su un certo tipo di turismo – come quello russo o arabo o cinese – che oggi è scomparso (paradossalmente i marchi del lusso stanno approfittando per rinnovare gli spazi, almeno questo è un segnale di speranza).

Fin qui la cassa ha “assorbito” molto del disagio e soprattutto alcune aziende (anche grandi gruppi internazionali) hanno fatto i salti mortali per anticipare. Ma è chiaro che il provvedimento non è eterno: «Stiamo facendo molta pressione sul governo per una conferma della cassa rimuovendo molti vincoli e oneri oggi previsti: per dare sopravvivenza alle aziende servirà finanziare almeno un anno, dalla primavera prossima» continua Liguori.  

C’è poi un tema di sostenibilità a lungo termine: gli stessi sindacati hanno poi contestato alcune scelte governative: «Come ad esempio la riapertura a Linate, che crea danni forti al gestore, perché si parla di milioni di euro per tenere aperto un aeroporto in presenza di traffico molto ridotto. E giustamente anche lo stesso sindaco di Milano Sala ha richiesto un supporto per i gestori». Pe questo, al di là della cassa integrazione, i sindacati chiedono che i fondi stanziati dal Decreto Rilancio vengano estesi a tutto il comparto aereo e non solo riservati alle compagnie. Riecheggiando in questo l’appello chiaro venuto anche dal gestore, la Sea: «Gli aeroporti italiani hanno bisogno di un aiuto dal governo per accompagnare l’inevitabile ristrutturazione del settore, far decollare i test rapidi per i viaggiatori e sostenere gli investimenti» aveva richiamato a metà ottobre l’ad Armando Brunini.

Quanti sono i lavoratori coinvolti a Malpensa? Se si guarda al numero di tesserini aeroportuali (necessari per chi deve entrare nello scalo) sono 20mila. Poi c’è l’indotto che sta all’esterno, che sta soffrendo in modo simile.
È crollato il lavoro negli alberghi, che oggi «sono in una situazione assolutamente critica», dice Livio Muratore della Filcams-Cgil. La flessione attuale si può calcolare intorno al 70% delle ore di lavoro e ci sono interi hotel (ne citiamo uno, simbolico: il Moxy che sorge di fianco al T2) che sono completamente chiusi. «Anche i lavoratori delle cooperative delle pulizie sono già in FIS», vale a dire usufruiscono dell’ammortizzatore sociale paragonabile alla cassa integrazione. «Poi c’è quello ancora intorno: bar, lavanderie, che hanno perso quote di lavoro».

loro piana shop malpensa
  Uno degli spazi commerciali del lusso rinnovati a ridosso dell’estate

Se nel resto d’Italia la “colpa” si può scaricare genericamente sulle scelte governative (si pensi alla flessione di bar e ristoranti), a Malpensa si misura invece la portata globale dell’emergenza: non si lavora perché tutto si è contratto, sono crollati legami che nel mondo globalizzato apparivano naturali, si sono riscoperte le frontiere che sembravano solo un fastidio minimo.
A far da cerniera tra l’aeroporto e quel che c’è fuori c’è il mondo dei trasporti. Anche qui in crisi nera: «Una corsa ogni quattro giorni, otto voli in media» ha sintetizzato nei giorni scorsi Pietro Gagliardi, delegato nazionale per i taxisti di Unione Artigiani (i taxi protesteranno nella giornata di venerdì 6 novembre). Analoghe le difficoltà degli Ncc, le “auto nere” a Noleggio Con Conducente, che pure nel caso di alcune aziende nel primo lockdown avevano recuperato mercati alternativi a quelli classici, ad esempio gestendo il rientro di grandi numeri di lavoratori bloccati e che dovevano rientrare nei Paesi di origine (alcuni sono passati da Malpensa). 

C’è un unico segmento, non secondario, che fin qui ha retto: è il cargo, che va bene, anche se comunque in flessione. Neppure in lockdown l’economia italiana – fortemente interconnessa a livello globale – ha azzerato i movimenti di merci. E i movimenti postali, legati all’e-commerce, sono cresciuti, anche a fronte di investimenti recenti come quello di Dhl.

Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 04 Novembre 2020
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