A Malpensa è proprio come nel primo lockdown
Il nuovo periodo di chiusura autunnale non ha paralizzato le città come quello di primavera. Ma in aeroporto, da una settimana, è un deserto: solo in questo silenzio si capisce l'emergenza di un intero settore
A Malpensa si sente la musica, di sottofondo, sui marciapiedi all’ingresso.
Là dove normalmente ci sono clacson, auto che accelerano, vociare di passeggeri e il rumore dei decolli, oggi si sente solo la musica, quella un po’ anonima che esce dagli altoparlanti e che fa da sottofondo.
È il settimo giorno dall’entrata in vigore del nuovo Dpcm, che ha provocato la riduzione ulteriore dei voli nazionali. Ed è il primo giorno in cui il Terminal 1 (l’unico attivo) è ridotto a un solo “satellite” su tre.
All’interno dell’area Partenze gli spazi sono delimitati dalle serrande abbassate a chiudere le zone non più in uso, definite da apposito provvedimento dell’autorità dell’aviazione civile, l’Enac.
Ai pochi varchi di ingresso si controllano le autocertificazioni: se venerdì scorso si è assistito a qualche coda, oggi tutto scorre regolare. Flussi minimi. «Fa una certa impressione arrivare qui e trovar tutto vuoto» ammette una coppia in partenza nel pomeriggio. I negozi all’interno sono tutti sbarrati: dipendenti in cassa integrazione, anche se non sempre con l’anticipo da parte delle aziende.
È negli immensi vuoti di un aeroporto (i saloni, i parcheggi dipendenti deserti) che si coglie quanto gigantesco sia – e sarà – lo sforzo economico anche per sostenere il lavoro: moltissime aziende stanno anticipando la cassa, facendo i salti mortali, a partire dal gestore dello scalo. Altre hanno lasciato i dipendenti alla mercé dei tempi dello Stato (che sono anche molto variabili).
All’esterno una leggera nebbia – in realtà rara a Malpensa, a dispetto del luogo comune diffuso tra i milanesi – limita lo sguardo sul piazzale, da cui spuntano i timoni di coda di una decina di Airbus di Easyjet e Wizzair. Dall’alto di una passerella di servizio, nel silenzio, si sentono persino sbattere le portiere delle auto dei (pochi) dipendenti che arrivano per il turno pomeridiano.
Al piano Arrivi le corsie di accesso sono quasi deserte, in attesa ci sono due autobus e una lunga fila di Taxi. E proprio qui si trova qualche voce in più: «Ieri non ho caricato nessuno e mi sa che anche oggi me ne andrò senza neanche un cliente» spiega un taxista milanese. Il diritto a stare in fila in attesa è di dieci ore: «Vai là avanti, ci sono quelli delle 6 [del mattino, ndr], staccano alle 16».
Il capannello è un po’ più folto, tutti ovviamente ben dotati di mascherina (al piano Partenze c’è un solo ingresso, la Porta 5, vigilata da un carabiniere). «Ma piuttosto che stare a Milano dove è tutto fermo, vengo qui» spiega un altro conducente. «In città non si carica e a Linate ci sono ancora meno voli».
In tutto la giornata di mercoledì vede 17 voli a Linate e 32 a Malpensa, pochissimi, numeri che giustificherebbero il mantenimento della sola Malpensa (l’unica da cui possono partire gli aerei più grandi).
«Ormai sono giorni che non carico nessuno» dice un tassista della provincia di Varese. «Se ce la fai a caricare un cliente la giornata comunque l’hai fatta, ma non si riesce neanche più. Vengo qui giusto per non stare a casa».
E sono i taxisti (categoria senza ammortizzatori sociali, costretti a questo surreale servizio) a dare lo sguardo più chiaro su quel che si vive qui, sulla particolarità dell’aeroporto: «Fuori comunque la gente va al lavoro, di traffico ne ho incontrato. Ma quando arrivi qui è tutto fermo». Fuori no, ma a Malpensa è come marzo, è come il primo lockdown: è questa la vera specificità, che non si coglie fino a che non si è all’uscita della superstrada.
La “palazzina sindacale” vicino alla torre di controlloSono le 15.20, alle 16 i taxisti “delle 6” se ne devono andare. «Mi raccomando, scriva che c’è anche il problema degli abusivi stranieri che caricano i loro connazionali» dice il taxista varesino. «Sa, in momenti di vacche grasse ci passavamo anche un po’ sopra, ma adesso…». Si sente un rombo, il decollo di un volo Emirates diretto a Dubai, uno dei pochissimi voli a lungo raggio.
Trenta secondi dopo torna il silenzio. Rimane la musica di sottofondo, sui marciapiedi quasi deserti.
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