Imprenditore accusato di spaccio viene assolto ma nel frattempo ha chiuso l’azienda
L'uomo aveva un'azienda che si occupava della manutenzione dei frigo degli aerei ma a luglio del 2020 venne arrestato perchè c'era della droga in un suo capannone: "Non era sua"
A decretare la fine dell’incubo è stato il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Busto Arsizio, Stefano Colombo che ha pronunciato la sentenza di assoluzione, finalmente E.D., imprenditore nel settore aeronautico che aveva un azienda a Vergiate, può dire a testa alta di essere innocente.
Qui la cronaca dell’arresto
La Procura di Busto Arsizio lo aveva accusato di spaccio di stupefacenti dopo che, all’interno di uno dei sui capannoni a Vergiate, erano stati trovati diversi chili di stupefacente, tra marijuana e metilanfetamina, e una pistola. L’incubo è iniziato il 25 luglio 2020 quando la Polizia si presenta nella sua azienda in seguito ad una telefonata anonima che annunciava la presenza di stupefacenti occultati all’interno di un capannone.
Per E.D. è l’inizio di un lunghissimo incubo che passa da 7 mesi di (ingiusta) detenzione, cinque in carcere e due ai domiciliari, fino ad arrivare alla sentenza di oggi, venerdì, che lo assolve pienamente.
Il suo legale, Daniele Galati, ha cercato in tutti i modi di far emergere le numerose incongruenze che, a suo dire, erano evidenti sin dall’interrogatorio dell’altro imputato, un albanese che E.D. stava assumendo come badante del fratello, il quale aveva approfittato della buona fede dell’imprenditore, nascondendo la droga nel suo capannone. Anche il contenuto della stessa telefonata anonima sembrerebbe essere stata mal interpretata, nel senso che la voce al telefono diceva che la droga era occultata nel capannone di E.D. ma che il proprietario fosse l’albanese.
Fu proprio l’albanese, in un interrogatorio del 10 agosto 2020, a dire al pubblico ministero che lo stupefaecente, così come la pistola, erano nella sua disponibilità esclusiva e che l’imprenditore non ne era al corrente. A sostegno di questa tesi anche altri elementi, come le testimonianze dei dipendenti. Nonostante questo la misura cautelare nei confronti di E.D. è stata attenuata solo a dicembre e definitivamente tolta a febbraio di quest’anno.
Nel corso della detenzione l’imputato ha contratto l’infezione da Sars-cov2, trascorrendo settimane in isolamento; il contestuale diffondersi della pandemia ha di fatto precluso i contatti con la moglie e i figli; il Covid, inoltre, ha colpito gravemente la famiglia dell’imputato, il quale si è trovato impossibilitato a fornire ausilio alla moglie, malata oncologica che, pur affetta da coronavirus, si è trovata da sola a dover accudire il fratello dell’imputato, Enzo Diodato, affetto da grave patologia psichiatrica e costretto, atteso il rifiuto di ogni struttura sanitaria a farsi carico delle cure, all’isolamento domiciliare a fronte di una polmonite bilaterale.
Il procedimento giudiziario a carico di E.D., come si può facilmente intuire, ha determinato la sospensione della licenza, costringendo l’azienda alla chiusura e al licenziamento dei dipendenti, proprio mentre la concorrenza incrementava il fatturato, con la perdita – per centinaia di migliaia di euro – di tutte le commesse e dei rapporti commerciali previamente instaurati.
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