Le vittime dimenticate della galleria di Mornago, 21 novembre 1951
Mentre l'Italia faceva i conti con la devastante alluvione del Polesine, anche nel Varesotto si piangevano alcune vittime: è la storia semisconosciuta dei ferrovieri sepolti da una frana a Mornago
Il novembre 1951 ha lasciato una diffusa memoria soprattutto per quanto riguarda l’alluvione del Polesine, che fece 101 vittime e decine di migliaia di sfollati.
Meno note sono le vittime di altre, gravi conseguenze legate all’ondata di maltempo eccezionale di quell’anno: tra le vittime più dimenticate di quel tragico autunno ci sono il macchinista Pierino Zonca e del fuochista Giordano Torri, due ferrovieri piemontesi morti il 21 novembre del 1951 per un crollo nella galleria “Ronco” a Mornago, sulla linea Gallarate-Luino.
L’episodio ci è stato segnalato da Alessandro Pellegatta di Cassano Magnago. Pochissima memoria è rimasta di quel fatto, che passò quasi sotto silenzio già all’epoca, forse perché l’opinione pubblica era concentrata sul Polesine, forse perché due morti sul lavoro erano più normali rispetto agli eventi eccezionali di quei giorni.
Erano giorni agitati anche nel Varesotto: l’Olona aveva allagato le fabbriche della valle, l’Arno aveva sommerso il centro di Gallarate, un treno era deragliato a Varese, c’era stata anche qualche vittima indiretta (un uomo sfiancato dalla fatica di riempir sacchi di sabbia per difendere la propria casa a Gallarate).
Novembre 1951, l’Arno invade le strade del centro di Gallarate
La tragedia vera sarebbe però accaduta sulla linea ferroviaria Gallarate-Luino.
La ferrovia secondaria a binario unico non era elettrificata, le corse erano garantite dalle “littorine” con motore Diesel o – per le corse più frequentate e con i vagoni postali – da treni con in testa la locomotiva a vapore. Queste ultime facevano capo a una piccola rimessa a Gallarate, ma anche alla rimessa di Arona (che è in Piemonte ma dal punto di vista ferroviario dipende dal Compartimento di Milano).
Nel tardo pomeriggio del 21 novembre il treno per Luino era proprio un treno “pesante”, con locomotiva a vapore: «Le sei carrozze del treno, il viaggiatori 1564 con destinazione Luino, sono piene di operai ed impiegati, anch’essi attendono che il treno si muova, sono tutti stanchi dopo una dura giornata di lavoro nelle numerose fabbriche dell’operosa città, e non vedono l’ora di raggiungere le proprie abitazioni» racconta Pellegatta nel libro “I dannati della ferrovia”.
«Finalmente il segnale si apre; incarrozzamento terminato, un fischio, paletta: Pierino apre il regolatore ed il treno si avvia. Gallarate, Besnate, Mornago – Cimbro. Prossima fermata Ternate – Varano Borghi. Serie di passaggi a livello, linea a binario unico immersa nel verde, tra betulle e robinie, sulla destra una fonte d’acqua purissima, poi un lavatoio, due altissimi cavalcavia. La galleria “Ronco”, lunga 1,585 km, è alla fine del rettilineo, progressiva 11+400. Stretta e buia».
Il portale Sud della galleria, oggiSono le 18.30, dice l’orario ferroviario: nella stretta cabina della locomotiva alla manetta del vapore c’è il macchinista Pierino Zonca di Arona, al suo fianco il fuochista Giordano Torri di Marano Ticino butta palate di carbone nel forno della macchina, per affrontare la lenta ascesa che da Gallarate porta verso il Lago Maggiore.
Il treno si infila sotto la volta dell’ingresso sud della galleria “Ronco”. «I rapporti ufficiali diranno che quelli realmente percorsi non saranno neanche cento. Nel buio più fitto la locomotiva corre a tutto vapore. Pierino e Giordano non sanno che, poche decine di metri più avanti, la volta è franata per le fortissime infiltrazioni d’acqua dovute alle piogge di quelle settimane».
«I fanali illuminano appena, impossibile accorgersi dell’ammasso di terra. La locomotiva ci sbatte contro violentemente. Un altro crollo, sassi e terra a coprire la locomotiva, mentre le prime due vetture si sfasciano premendo verso testa. L’impatto è devastante, la caldaia della locomotiva esplode. Getti d’acqua bollente contro le pareti, quelle rimaste in piedi. Dalle lamiere urla e pianti; sulla locomotiva, sepolta sotto la frana, tutto tace. Nel frattempo il cantoniere che presenzia il casello al km 10,560 ha seguito con lo sguardo la coda del treno nella galleria; continua a vederla, guarda meglio, si accorge che il treno si è fermato. Intuisce che è successo qualcosa, corre verso l’ingresso; poco dopo si vede venire incontro i primi viaggiatori che stanno guadagnando l’uscita; fa dietro-front, raggiunge con affanno la stazione di Mornago e lancia l’allarme».
A Villadosia, il punto più vicino all’imbocco della galleria, arrivarono poi ambulanze e vigili del fuoco: decine di persone – operai, studenti, da Besozzo, Leggiuno, Sangiano e così via – furono soccorse e finirono in ospedale a Somma Lombardo e Gallarate.
Il prezzo più pesante lo pagarono però appunto i due ferrovieri, che vennero anche dilaniati dalle lamiere (ci vollero quindici giorni per recuperare un braccio del povero fuochista). La tragedia ferroviaria rimase confinata all’ambito lavorativo, non ci fu neppure la camera ardente per i due morti. Solo qualche vecchio macchinista ha trasmesso la memoria dei fatti, ripetuta in cabina ad altri colleghi – di generazione in generazione – mentre il treno si infilava nel portale oscuro della galleria.
Alessandro Pellegatta l’ha poi messa nero su bianco, attingendo anche ai documenti di allora, intervistando colleghi ferrovieri e parenti di Giordano Torri: tutto è confluito nel libro “I dannati della ferrovia”, pubblicato nel 2017.Un esercizio di memoria, ma anche di militanza, perché anche oggi «di lavoro si continua a morire con numeri degni di una guerra».
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