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La storia italiana di Gianni Caproni, decollata da Malpensa

L’artista, ingegnere e progettista naturalizzato varesino, grande industriale nella prima metà del XX secolo rivive in un libro del giornalista Federico Bianchessi, per Macchione Editore

Libri - Copertine generiche

Come facesse un artista, grande disegnatore e progettista di macchine volanti, a condurre un grande gruppo industriale ancora oggi si stenta a crederlo possibile; fatto sta che Gianni Caproni, nato nei pressi di Trento quando la città era ancora austriaca, agli inizi del XX secolo creò un’eccellenza tecnologia mondiale sui terreni che oggi ospitano l’aeroporto di Malpensa; terreni concessi per questo utilizzo, nei pressi di Vizzola Ticino, proprio perché considerati inadatti all’agricoltura.

Certo anche un grande genio ha bisogno di aiuto ed opportunità per emergere. Caproni probabilmente non era grande quanto un Leonardo, ma era certo brillantissimo ed incontrò due personaggi altrettanto eccelsi nelle loro doti personali, che gli spianarono la strada come uno dei più grandi costruttori di velivoli militari del mondo a quel tempo. Il primo fu Giulio Douhet, il comandate del Battaglione Aviatori dell’esercito italiano, che spalancò al progettista trentino le porte dei primi finanziamenti pubblici. Il secondo, forse più importante, fu Fiorello La Guardia, newyorkese di origini pugliesi, ufficiale pilota dell’aviazione USA che all’epoca della Prima Guerra Mondiale creò, in collaborazione con Caproni, l’allora celeberrima “scuola foggiana” per piloti americani. La Guardia era di bassa statura, proprio come il progettista di Vizzola, ma essendo sua madre nata a Trento i due avevano in comune anche la lingua tedesca, tanto è vero che Caproni aveva studiato ingegneria a Monaco di Baviera. Nacque così un sodalizio personale importante, con grandi ripercussioni sui successi americani dell’uomo di Malpensa quando negli anni Trenta La Guardia divenne uno dei più capaci ed amati sindaci di New York di sempre.

Va detto inoltre che, a differenza di altri importanti industriali del sui tempo, l’ingegnere di Vizzola non ebbe un rapporto ambiguo col fascismo. Aderì quasi subito al Partito, prendendo la tessera nel 1926 e mostrandosi spesso, senza ostentazione ma anche senza reticenze, in stivali e camicia nera. Quello di Caproni con il Duce fu un rapporto schietto: egli non lesinò sforzi ad esempio quando gli venne chiesto di creare uno stabilimento Caproni a Predappio, città natale del dittatore, evidentemente per ragioni di propaganda. Né l’ingegnere si tirò indietro, pur avendo maggiori simpatie personali per gli inglesi, quando il regime gli chiese di produrre nella zona dell’alto Lago di Garda componentistica ad alta tecnologia, se non addirittura l’arma completa, per i micidiali ordigni V2 di progettazione tedesca che vennero impiegati in particolare nei bombardamenti su Londra.

L’esperienza coi nazisti lo segnò per sempre, ma sorprendentemente non per ragioni morali. Immediatamente dopo la guerra gli USA fecero pressioni in Italia affinché gli venisse risparmiata la vita, essendo evidente il suo legame con il fascismo. Ma il vero obiettivo fu probabilmente il tentativo di convincere Caproni a trasferirsi negli USA, per diventare americano e lavorare ai programmi di difesa statunitensi. Poiché Caproni pur lusingato evidentemente volle rifiutarsi, gli vennero chiuse garbatamente tutte le porte: era un uomo che conosceva troppi segreti e si ritenne che l’azienda dovesse essere pilotata verso il fallimento. Cosa che avvenne velocemente quando, morto di malattia anche il suo grande amico La Guardia, nel 1947, tutti i rubinetti dei finanziamenti alle attività di Caproni si chiusero per sempre. Egli ebbe comunque una vita agiata fino alla morte.

Scheda libro: Federico Bianchessi – “Gianni Caproni, una storia italiana” – Macchione Editore – 2014

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Pubblicato il 14 Dicembre 2021
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