Il racconto di Michele Tollis: “Ho voluto solo ritrovare mio figlio, ucciso dalle Bestie di Satana”
Intervista a Michele Tollis, 76 anni: dal 1998 al 2004 ha lottato per arrivare alla verità sulla scomparsa di suo figlio Fabio, allora 16enne, ucciso dalle Bestie di Satana
La sua figura è centrale nella storia delle Bestie di Satana, la sua tenacia e la sua caparbietà sono state fondamentali per unire le tessere e ricostruire il puzzle, come ci ha confermato il sostituto procuratore Tiziano Masini in una intervista sulla vicenda. Lui è Michele Tollis, oggi ha 76 anni e dal 1998 al 2004 ha lottato, da solo, per arrivare alla verità sulla scomparsa di suo figlio Fabio, allora 16enne. Lo abbiamo intervistato e in una lunga chiacchierata ha ricostruito i giorni di quel gennaio 2004, quando la scoperta del corpo di Mariangela Pezzotta scoperchiò una delle vicende di cronaca più tragiche della nostra provincia, ma anche del nostro Paese.
«Non ho fatto niente di eccezionale, ho voluto solo ritrovare mio figlio – dice Tollis -. Non ho mai creduto nemmeno per un secondo alla teoria della fuga volontaria. A partire da quella telefonate del 17 gennaio del 1998 dal Pub Midnight di Milano (luogo di ritrovo del gruppo di giovani ndr) sono sempre stato convinto che ci fosse qualcosa che non andava. Conoscevo mio figlio, l’ho avuto con me per soli 16 anni, ma sapevo chi era, chi frequentava e cosa avrebbe potuto fare. Per sei anni l’ho cercato, mi sono anche arrabbiato con lui arrivando a pensare che quando lo avrei ritrovato gli avrei spaccato le gambe tanto ero incazzato. Alla fine ci sono riuscito, anche se l’ho ritrovato morto, l’ho ritrovato. Me lo ero giurato e ci sono riuscito».
«La svolta è avvenuta il 24 gennaio. Non la mattina, ma la sera: ero a casa in convalescenza dopo un’operazione all’ernia del disco – racconta Tollis -, mi sono messo a guardare il telegiornale e ho visto la faccia di Volpe in tv, al telegiornale regionale. Lì ho capito che tutti i miei sforzi, i pedinamenti, gli indizi che avevo raccolto e che nessuno aveva voluto ascoltare sarebbero potuti servire per arrivare alla verità. Sono andato dai carabinieri di Somma Lombardo, era domenica e nevicava, davanti al comandante Michelangelo Segreto ho raccontato tutto quello che sapevo: lui era incredulo, mi guardava con lo sguardo di chi sentiva una storia assurda, ma mi ha creduto. Il giorno dopo sono tornato e ho ripetuto tutto davanti a Tiziano Masini e Antonio Pizzi, nella stanza dei carabinieri, insieme ai militari arrivati da Varese. Per la prima volta c’era qualcuno che ascoltava quello che avevo da dire e mi credeva: ho parlato per 5/6 ore di fila, ho sciorinato tutto, appunti, telefonate fasulle, indizi raccolti in sei lunghi anni».
Michele Tollis oggiDa gennaio, Tollis ha dovuto attendere fino a maggio del 2004 prima di rivedere il corpo di suo figlio Fabio: «Solo il 17 maggio Volpe si decise a parlare e a raccontare dove avevano seppellito Fabio e Chiara e cosa avevano fatto – ricorda Tollis -. Ci ha messo pochi minuti, è andato a colpo sicuro, in quel maledetto bosco. Almeno questo glielo riconosco, di aver parlato e di averci fatto trovare i corpi dei due ragazzi. Perdonare? No, io non li perdonerò mai, finché morirò. Non giudico chi ha fatto altre scelte, come Silvio Pezzotta che ha perdonato Elisabetta Ballarin (che nulla c’entra con l’omicidio di Fabio e Chiara, commesso quando la Ballarin aveva solo 10 anni): ha fatto la sua scelta, io non posso perdonare chi ha finto di essere amico di mio figlio e l’ha ingannato e ucciso con premeditazione e ferocia».
Michele Tollis ha lottato per arrivare alla verità, ha seguito tutti i processi e non smette di ricordare il figlio Fabio, portatogli via quando aveva solo 16 anni: «Fabio era un bravo ragazzo, andava bene a scuola, studiava e prendeva buoni voti. Faceva il terzo anno di grafica pubblicitaria, era altruista, intelligente. Siamo stati insieme troppo poco, ma il suo ricordo resterà indelebile nella mia mente, per sempre – conclude Tollis -. Lo ha ucciso un branco di assassini che ha avuto le pene che la giustizia ha deciso per loro, per me troppo lievi, ma tant’è. Io posso solo essere sollevato dall’aver fatto tutto quello che potevo per ritrovare mio figlio. Come un genitore, nulla più».
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