Il Pirellone boccia il referendum sulla riforma della Sanità in Lombardia
Il referendum era stato lanciato due mesi fa da sindacati e associazioni. La maggioranza in Regione ha deciso di non ammettere al voto i quesiti. I promotori: "Un affronto alla democrazia"
Con 45 voti favorevoli su 47 presenti il Consiglio regionale ha approvato l’ordine del giorno della maggioranza che delibera l’inammissibilità della proposta di referendum abrogativo relativa a tre parti del testo unico delle leggi regionali in materia di sanità. Il referendum era stato lanciato quest’estate da un gruppo di associazioni.
La proposta, sottoscritta da 117 cittadini, era stata presentata lo scorso 27 luglio ed era stata esaminata dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale il 25 agosto. Non avendo raggiunto l’unanimità, l’Ufficio di Presidenza aveva demandato la questione al Consiglio regionale come previsto e richiesto dalla normativa vigente.
L’ordine del giorno della maggioranza: “Nei tre quesiti vizi insanabili”
Il documento, primo firmatario il vicepresidente del Consiglio Giacomo Cosentino (Lombardia Ideale), approvato a maggioranza assoluta come richiesto dalla legge, richiama le procedure referendarie previste dalla legge regionale n.34 del 1983 che rimandano all’Assemblea consiliare la decisione “qualora l’Ufficio di Presidenza non si pronunci all’unanimità”, come era appunto accaduto a fine agosto.
Riferendosi al criterio che ogni quesito deve essere “chiaramente e immediatamente intellegibile dal corpo elettorale”, si sottolinea in particolare che il primo quesito verte su singole parole e non su leggi, interi articoli o commi, come invece previsto.
Quanto al secondo e terzo quesito, viene considerato che riguardano proposte di abrogazione che “potrebbero determinare carenze nella capacità del sistema di garantire l’erogazione delle prestazioni idonee ad assicurare i livelli essenziali di assistenza, con conseguente potenziale lesione del principio costituzionale di tutela della salute”.
Tutti i quesiti inoltre “sono caratterizzati da contraddittorietà e assenza del carattere unitario” e dalla “presenza di temi distinti e non omogenei, suscettibili di determinare atteggiamenti differenziati nel corpo elettorale”.
Si tratta, dichiara l’ordine del giorno approvato, di “vizi insanabili”.
Non ammesso al voto l’ordine del giorno della minoranza
Non è stato sottoposto al voto, in quanto ritenuto inammissibile dagli uffici del Consiglio regionale preposti, l’ordine del giorno di PD, M5Stelle, Patto Civico e AVS e sottoscritto anche dai due componenti di minoranza dell’Ufficio di Presidenza.
Il documento chiedeva la sospensione della procedura per invitare i proponenti a riformulare la proposta “al fine di consentire l’espressione del giudizio definitivo di ammissibilità”.
La decisione del Presidente di non ammettere al voto l’odg in quanto “non inerente all’oggetto della discussione”, come indicato dagli uffici, e di non concedere una sospensione dei lavori, è stata accolta dai banchi della minoranza con espressioni e atteggiamenti di protesta.
La reazione del Comitato promotore: “Un affronto alla democrazia”
«Nonostante le richieste del Comitato e dei gruppi consigliari di centrosinistra di rivedere la decisione dell’Ufficio di Presidenza sulla non ammissibilità dei quesiti referendari sulla normativa sanitaria regionale, la maggioranza del Consiglio tira dritto e rifiuta il confronto. Si tratta di un affronto nei confronti degli elettori lombardi e dei principi di base della democrazia» dichiarano i rappresentanti del Comitato Promotore, Marco Caldiroli di Medicina Democratica, Federica Trapletti della Cgil, Vittorio Agnoletto di Osservatorio Salute, Massimo Cortesi di Arci, Andrea Villa Acli.
«Anziché una valutazione giuridica, come previsto dalla l.r. 34/1983, sono motivazioni politiche, quelle che hanno orientato la maggioranza nell’impedire lo svolgimento di un’iniziativa di democrazia diretta come il referendum previsto dalla legislazione regionale. Assistiamo da parte della maggioranza, ad un uso strumentale del combinato disposto tra l.r. 33/2009 (legge sanitaria modificata da ultimo con la l.r. 22/2021) e la vetusta legge che regola i referendum; attraverso un’interpretazione restrittiva dei cavilli e delle norme ormai superate dall’evoluzione legislativa rendono nei fatti impossibile il ricorso al referendum da parte dei cittadini„ “Domani alle ore 17.00 come comitato referendario, insieme alle tantissime realtà che vi hanno aderito, ci incontreremo al Pirellone per decidere i prossimi passi, in ogni caso non ci fermeremo, vogliamo che gli elettori possano esprimersi sulla deriva del servizio sanitario regionale e imprimere un cambio di direzione pena la distruzione delle strutture pubbliche e sempre maggiori diseguaglianze di accesso alle cure. Non può essere il reddito a stabilire la possibilità di curarsi. Utilizzeremo ogni strumento a disposizione, a partire da un ricorso amministrativo al TAR sulla decisione del Consiglio che coinvolgerà sicuramente anche l’assurda situazione normativa emersa da questa vicenda” Come è noto, la proposta referendaria abrogativa di tre passaggi della legge regionale sanità (L.R. 33/2009 e successive modifiche fino alla l.r. 22/2021) è stata depositata con oltre 100 firme di promotori, come prevede la legislazione, il 27 luglio scorso».
I tre quesiti referendari
Il primo quesito chiedeva di eliminare il richiamo all’equivalenza tra l’offerta sanitaria e socio-sanitaria delle strutture pubbliche e private accreditate nonché il richiamo al principio della parità di diritti e di obblighi per tutti gli erogatori di diritto pubblico e di diritto privato.
Il secondo quesito prevedeva l’eliminazione della facoltà delle ATS di autorizzare la stipula di accordi anche con soggetti privati accreditati in possesso di determinati requisiti.
Il terzo quesito prevedeva di escludere la possibilità di concorso dei soggetti erogatori privati all’istituzione degli ospedali di comunità e delle case di comunità previste dal piano nazionale di ripresa e resilienza.
La delibera dell’Ufficio di Presidenza del 25 agosto richiamava un approfondimento da parte degli uffici competenti nel quale erano illustrati i contenuti della legge n.34 del 1983 relativa alla disciplina dei referendum regionali e nel quale veniva richiamata la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia con riferimento ai criteri di ammissibilità dei quesiti.
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