Le minacce al ristoratore, le botte al titolare di un locale di Busto Arsizio e l’impresa di Cittiglio. Così le mafie si prendono l’economia legale
Nelle 5 mila pagine dell'inchiesta c'è di tutto. Dagli imprenditori di Cittiglio che frodano il fisco col clan di Matteo Messina Denaro al ristoratore costretto a cedere il ristorante per un debito
Un creditore che a Bernate Ticino si rivolge alla ‘ndrangheta di Legnano per recuperare 30 mila euro dal ristoratore, un mafioso che spacca la faccia al gestore di un locale (che poi va a denunciare) perchè vuole che il figlio possa comandare all’interno di un noto locale di Busto Arsizio. Due imprenditori di Cittiglio che evadono il fisco attraverso la cessione di falsi crediti Iva ad una società legata agli Abilone (vicini al clan di Matteo Messina Denaro). Anche una società cooperativa che gestisce trasporti con ambulanze di Magenta finisce nelle carte con false fatturazioni per 30 mila euro a favore di una società legata a Massimo Rosi, capo della locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo.
La violenza cieca e gli affari con l’economia legale
C’è questo e molto altro nelle 5 mila pagine dell’inchiesta Hydra della Dda di Milano, coordinata dal sostituto procuratore Alessandra Cerreti e realizzata insieme ai nuclei investigativi dei carabinieri di Milano e di Varese. C’è la malavita arcaica fatta di minacce e di violenza che fa del recupero crediti un nuovo modo di fare estorsione e c’è la mafia dei colletti bianchi che traffica con imprenditori che hanno bisogno di abbattere utili, creare nero, evadere le tasse.
Non c’è l’intimidazione mafiosa o non la si vuole vedere
Sono a tratti incredibili alcune vicende ricostruite nelle carte che ha portato sotto indagine 154 persone delle quali 11 sono state raggiunte da misure cautelari. Un numero esiguo che ha aperto anche uno scontro interno al mondo giudiziario milanese con il sostituto procuratore Cerreti che ha attaccato il Gip di Milano Tommaso Perna il quale sosteneva mancasse la forza intimidatrice del metodo mafioso.
Il debito da 30 mila euro che fa perdere un ristorante
Una riguarda un ristoratore di Bernate Ticino che, evidentemente in difficoltà economiche, nel marzo del 2021 viene chiamato dal capoclan Massimo Rosi nel terreno di Giacomo Cristello a Castano Primo e costretto a consegnare le chiavi del ristorante all’uomo con cui aveva il debito: «aspetta un attimo – dice Rosi rivolgendosi al ristoratore -, molla tutto, firma tutto, molla tutto, se no veramente ti ammazzo io a te, ti ammazzo, ammazza a chi cazzo vuoi tu, ammazzo a tutti, firma tutto, firma tutto, ehi, firma tutto». Nel giro di un mese le chiavi finiscono nelle mani del creditore che aveva deciso di affidarsi al Rosi e ai suoi per risolvere il problema.
Le botte per far entrare il figlio in discoteca
Ancora più “vecchio stile” l’aggressione al proprietario di un noto club di Busto Arsizio da parte di Dario e Fabio Nicastro, insieme a Rosario Bonvissuto per fargli capire che il figlio Francesco può entrare quando vuole. Siamo nel maggio 2021 quando i tre entrano nel locale: «….ma sfasciatelo a mazzate questo carabiniere, ma dategli… rompetegli quattro cose in testa e andatevene, di merda! Di… non ti permettere a chiamare a nessuno che ti.. ti… ti diamo fuoco! e ancora «….non parlare più…appena tu….inc…ti faccio scappare da Busto – vedi che a Busto – ….adesso comando io mi stai capendo». Il risultato dell’aggressione sono naso e varie ossa della faccia rotte per la vittima (38 giorni di prognosi) ma il disegno criminale non si realizza perchè l’uomo, nonostante le minacce, denuncia l’aggressione.
L’evasione fiscale da 3 milioni di euro
Tra i 154 indagati compaiono anche un padre e un figlio, entrambi imprenditori con base nell’Alto Varesotto, che per evadere il fisco non si fanno problemi a scendere a patti con due personaggi vicini al mandamento di Castlevetrano. Insieme a Rosario e Giovanni Abilone, titolari della Dag Feo frodano il fisco con 3 milioni di euro di crediti Iva inesistenti tramite un falso contratto di associazione tra le due società.
Lucravano anche sulle cooperative che gestiscono le ambulanze
Infine un’altro caso di evasione fiscale che lascia sgomenti è quello che investe una nota società cooperativa di Magenta che opera con ambulanze che effettuano trasporti privati che accetta una fattura da 30 mila euro dalla Servizi Integrati gestita da Massimo Rosi e altri soci occulti.
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