Nella grande Buenos Aires, tra ragazzi e tangueros
Il viaggio di Carlo Motta ed Enzo Bernasconi arriva nella capitale argentina. Tra storia, tracce dell'emigrazione italiana e la realtà di oggi
Nuova puntata di “la bicicletta argentina”, l’avventura di Carlo Motta ed Enzo Bernasconi, partiti da Cuggiono anche sulle tracce degli emigranti.
Il racconto è di Carlo Motta.
Qui tutte le puntate
Martes 19 de marzo
buenos aires
In poco più di 9 ore siamo nella grande Buenos Aires, l’enorme città abitata da 15 milioni di persone: un terzo di tutti gli argentini abita qui.
Sul bus, durante il viaggio da cordoba, dormiamo poco e male. Certo la poltrona “cama” non è un letto ma soprattutto credo che il problema sia derivato da un vicino di poltrona che aveva un sonno molto rumoroso, soffriva di roncopatia acuta. Ovvero: russava come un orso.
Arrivati alle 8 al terminal Retiro di BA montiamo le bici che sono arrivate intere. In meno di mezz’ora, passando in mezzo ad una selva di nuovi grattacieli in vetro, siamo in plaza de Mayo proprio di fronte alla Casa Rosada, sede della presidenza della repubblica argentina. Il palazzo da qualche mese è occupato, legittimamente perché votato dalla maggioranza dei cittadini, da Milei, il presidente sedicente “anarco-capitalista” (brrr1).
Casa Rosada, due sono le teorie sull’origine del nome. La prima riporta ai frigorificos, gli enormi macelli cittadini, dove lavoravano migliaia di emigranti in quanto si dice che come colorante della calce venisse usato il sangue bovino da li proveniente. La seconda ipotesi riporta all’unione dei colori dei due partiti politici argentini di fine’800, bianco e rosso, federalisti e unionisti. Io penso invece che il colore di questo palazzo riporti al sangue di tutti i lavoratori emigranti e a quello dei desaparecidos.
Ci accorgiamo subito dei fazzoletti bianchi, los panuelos blancos, quelli delle madres de plaza de mayo, dipinti sulla pavimentazione attorno all’obelisco di questa immensa piazza.
Prendiamo alloggio in un ostello poco distante, un posto simpatico giovane dove l’età media dei utenti è circa un terzo della nostra (brrr2).
A mezzogiorno abbiamo appuntamento con Fernando, un ciclista di BA che Enzo ha conosciuto in un altro viaggio. Con lui facciamo un giro per la città passando tra alcuni dei luoghi più noti della città, dalla cattedrale al museo dell’emigrazione, dal centro culturale Kirchner alla piazza dei due parlamenti.
Finiamo in un vecchio locale dove trovo per la prima volta sul menù il matahambre, letteralmente ammazza fame.
Si tratta di una versione della cima genovese cioè una fetta di carne di vitello/manzo arrotolata con all’interno verdure di ogni tipo, formaggio e poi chiusa e cotta in acqua. Si serve fredda, qui la propongono con l’immancabile insalata russa.
Rientriamo in ostello giusto in tempo per tirare il fiato mezz’ora perché alle 16 ci aspetta il tango, ballo argentino per eccellenza, sotto forma nientemeno della sua academia nacional. Ci accoglie il suo direttore, Walter Piazza (anche lui di origini italiane,) che ci aiuta ad interpretare le varie sale del museo. Nell’auditorium girano filmati d’epoca dove il mito per eccellenza, Carlos garden, canta Volver.
“Volver con la frente marchita
las nieves del tiempo platearon mi sien…
vivir con el alma aferrada
a un dulce recuerdo
que lloro otra vez”
Ritornare con la fronte appassita
Con le nevi del tempo che imbiancano le mie tempia….
Vivere con l’anima aggrappata
a un dolce ricordo che piango un’altra volta.
Chissà cosa pensavano i nostri emigranti sentendo la voce struggente di gardel, quali amori, ricordi, luoghi, progetti. Parole e musica che sembravano raccontare una pena simile alla loro. O chissà, erano così affranti che nessun tango, nessuna milonga poteva descrivere e tantomeno alleviare la loro pena.
Tra poco ci dice Walter, inizia una clase, un corso, di tango: se volete assistere … prendete un cafecito al tortoni (caffè storico che si trova proprio sotto l’academia, frequentato oltre che da gardel anche da jorges luis borges che li scrisse i suoi migliori romanzi) e tornate tra mezz’ora.
Detto fatto e dopo 30 minuti ci troviamo catapultati in un mondo parallelo fatto di giovani e meno giovani che con più o meno armonia e avvenenza provano le figure del tango. Certo che l’eleganza e la leggiadria di Belene, la giovane profesora, …. anche lei di origini italiane, campane per l’esattezza.
Scrive l’amico Aabatino Alfonso nnecchiarico, l’amico che ci permesso questo incontro, nel suo “Tango tano” dove mette in luce la stretta relazione che gli immigrati italiani e i loro figli hanno mantenuto con il tango: ” Senza di loro – i tanos – è possibile affermare che il tango, così come è conosciuto e amato oggi, non sarebbe mai esistito”.
Un caro saluto e, anche se con la prestanza di una figura tanguera, state in campana.
Carlino
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